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 2020  marzo 23 Lunedì calendario

Storia dei crociati

Crociati permanenti. Questa la definizione dei Templari, ma anche degli Ospitalieri di san Giovanni Battista (o giovanniti) e dei Cavalieri dell’Ordine teutonico, approvata nel 1129 al Concilio di Troyes, che garantì loro i privilegi previsti per i crociati veri e propri. Dopo la Prima crociata voluta da papa Urbano II (1096), che aveva portato alla conquista di Gerusalemme da parte di Goffredo di Buglione (1099), si erano resi necessari eserciti stanziali che garantissero la messa in sicurezza del regno cristiano.
A questa messa in sicurezza provvidero per oltre due secoli di alterne fortune militari quelle che Giuseppe Ligato – in un libro pubblicato da Salerno Editrice – ha definito Le armate di Dio. Specificando nel sottotitolo che si riferisce a Templari, Ospitalieri e Teutonici in Terra Santa, attivi agli inizi del secondo millennio. Ligato si occupa della loro storia fino alla fine dell’Oriente crociato (1291). Senza spingersi fino alla distruzione dei Templari da parte del re di Francia Filippo IV il Bello (1314), al passaggio degli Ospitalieri alla vigilanza navale antimusulmana nel Mediterraneo e allo spostamento dei Teutonici in vista di nuove imprese sulle rive del Baltico.
La tragica conclusione dell’epopea dei Templari, iniziata il 13 ottobre 1307 quando Filippo il Bello li fece arrestare tutti (o quasi) – compreso il loro ultimo Gran Maestro Jacques de Molay, successivamente mandato al rogo – è stata recentemente rivisitata da Franco Cardini e Simonetta Cerrini nella Storia dei Templari in otto oggetti pubblicata dalla Utet. Ma. per capire a fondo come la Chiesa si prestò alla manovra del sovrano francese e avallò l’accusa di connivenza con i musulmani rivolta ai Templari, è fondamentale la lettura di almeno due dei libri dedicati dalla studiosa Barbara Frale all’argomento: Crimine di Stato. La diffamazione dei Templari (Giunti) e La leggenda nera dei Templari (Laterza).
Torniamo agli inizi dell’impresa delle armate di Dio. Gli eserciti giunti in Terra Santa, racconta Ligato, «erano composti da pellegrini malamente armati e inquadrati». Le formazioni «più disciplinate e tecnicamente preparate erano generalmente i contingenti feudali delle varie casate arrivati dalla Francia, dalla Germania, dai territori normanni atlantici e suditaliani: combattenti di prim’ordine, ma spesso poco interessati a restare in una regione lontanissima dalle terre europee in cui li attendevano case e famiglie». Una regione oltretutto difficile da difendere. E i crociati rimasti erano pochi, «davanti a un nemico arabo-turco dalle risorse demografiche illimitate oltre che ansioso di rivincita». Servivano dunque dei professionisti. Non soltanto in senso tecnico («addestramento ed equipaggiamento moderni e uniformi, disciplina sul campo, obbedienza indiscussa al magister ossia al “maestro” della propria organizzazione e soprattutto al Papa»), ma anche sotto l’aspetto della moralità e dell’esempio cristiano. Il modello sarebbe stato fornito dal monachesimo, al quale, specifica Ligato, fu aggiunta «un’attuazione alquanto ibrida, vale a dire la connessione ideale del chiostro con l’impiego delle armi». Come ha ben approfondito Alain Demurger in Vita e morte dell’Ordine dei Templari e in I cavalieri di Cristo, libri entrambi editi da Garzanti.
Le origini del primo Ordine militare, quello dei Templari, sono legate «alla sua iniziale dipendenza dal patriarcato latino di Gerusalemme». Il primo nucleo fu di appena nove cavalieri riuniti attorno a Ugo de Payns. Decisamente pochi. I numeri restano comunque molto bassi, fa notare Ligato, «anche quando leggiamo di trenta cavalieri guidati dal Payns secondo un’altra cronaca». Le cose migliorarono dopo il viaggio di de Payns in Europa alla ricerca di fondi. E dopo che il papa Innocenzo II con una specifica bolla ne sancì l’indipendenza e li esonerò dalle tasse. Ma il regno di Gerusalemme non riuscì mai a schierare sul campo più di 1.200 cavalieri effettivi: la punta fu nel 1187 nella battaglia di Hattin in cui, tra l’altro, Saladino li sbaragliò. Il 1187 fu per i cristiani un annus horribilis. I cavalieri, il 1° maggio a Cresson, persero sessanta dei loro e 230, due mesi dopo, ad Hattin.
Agli Ordini fu concesso di non obbedire a strategie che consideravano sbagliate. Questa autorizzazione provocò una lacerazione al tempo dell’invasione dell’Egitto guidata dal re Amalrico negli anni Sessanta del XII secolo: «I Templari si dissociarono non solo dagli Ospitalieri fautori dell’impresa, ma anche dal sovrano la cui autorità veniva così compromessa». Scrive Ligato che il problema si ripropose in seguito nel 1266 «quando la proibizione pontificia di partecipare all’invasione della cristiana Armenia creò rancore fra Templari e Ospitalieri da una parte e principe d’Antiochia dall’altra».

I musulmani tardarono a percepire l’importanza della discesa in campo degli Ordini militari. Per molto tempo lo stato maggiore arabo-turco, rileva l’autore, non ebbe la percezione del ruolo svolto dai Templari e dagli Ospitalieri. Per esempio, lo storico Ibn al-Qalanisi registrò l’assedio di Montferrand del 1137 senza fare alcun riferimento ai Templari, che ne erano stati protagonisti. Sotto Saladino, «la cui minaccia apparve dopo la fine di re Amalrico (morto nel 1174), la percezione islamica degli Ordini iniziò a cambiare». A seguito della vittoria di Hattin, il sultano sfogò tutto il proprio odio quando si rese conto di non poter ricavare nemmeno degli schiavi da nemici così irriducibili, per lui «razze impure». E ne decretò quindi lo sterminio. Dei Templari «fu risparmiato il maestro Ridefort per uno scambio, ma non ci fu pietà per i Giovanniti». Anche i dottori della fede islamica «fecero a gara per giustiziare i prigionieri, talvolta provocando con la loro imperizia il sarcasmo dei soldati del sultano».
Nel 1170 aveva provocato manifestazioni di entusiasmo tra i musulmani l’uccisione di un comandante degli Ospitalieri. Saladino e i suoi gioirono in modo analogo nel 1187 alla morte nella battaglia di Cresson del maestro degli Ospitalieri Roger des Moulins, proprio quel des Moulins che «dieci anni prima – ironia della storia – era stato redarguito dal Papa per l’eccessiva bellicosità dell’Ordine e aveva conseguentemente incentivato le opere di misericordia».
I cavalieri, all’opposto, studiarono a lungo una strategia d’interlocuzione con il nemico che togliesse alla loro impresa una rappresentazione di segno esclusivamente militare. I Templari mediarono nel 1192 tra Riccardo Cuor di Leone e Saladino la tregua che avrebbe posto fine alla Terza crociata. Fu un loro grande successo che modificò la loro immagine sia nello schieramento crociato che in quello musulmano. Nel 1198 papa Innocenzo III prescrisse che nella predicazione della crociata ogni vescovo sarebbe stato affiancato da un Templare e da un Ospitaliero. Questi uomini non avrebbero potuto predicare, «ma, oltre all’esempio di degno impiego del denaro raccolto, davano quel supporto tecnico (conoscenza dei problemi, gestione dei finanziamenti) senza il quale anche il predicatore più ispirato avrebbe fallito... soprattutto mentre aumentavano le contestazioni contro quelle costosissime imprese». 
A complicare le cose intervenne la svolta più clamorosa della lunga storia dei due secoli di cui stiamo parlando. La crociata «pacifica» di Federico II – la sesta (1228-1229) – «esportò in Oriente», secondo Ligato, «il virus della discordia tra impero e papato». I Teutonici furono fin da principio a fianco dell’imperatore svevo. Templari e Ospitalieri gli concessero invece quella che Ligato definisce «una collaborazione moderata». La scomunica ricevuta da Federico complicò il quadro. Soprattutto quando il sultano d’Egitto al-Kamil, divenuto interlocutore di Federico (come lo era stato, dieci anni prima, di san Francesco), informò l’imperatore che appartenenti agli Ordini militari avevano cercato di coinvolgere i musulmani in un tentativo di assassinarlo. Oltretutto assieme al sultano al-Kamil. I due, Federico e al-Kamil vengono definiti da Ligato «sovrani spregiudicati»; entrambi impensieriti più dai rispettivi nemici interni che dagli «infedeli», di conseguenza «desiderosi di una soluzione rapida e negoziata». Ma questo genere di soluzione non piacque a Templari e Ospitalieri, che denunciarono alla curia pontificia la «tresca» tra imperatore e sultano.

In effetti al-Kamil «sapeva che Gerusalemme, dopo essere stata ceduta ai cristiani, previa intesa con l’imperatore, sarebbe rimasta indifendibile in mancanza di un esercito crociato permanente ed era quindi pronto a rinunciarvi per qualche anno pur di vedere ripartire Federico e tornare ai propri problemi interni». Federico «puntava alla corona di Gerusalemme e al trionfale ritorno in Occidente dove papa Gregorio IX (che lo aveva appena scomunicato per i suoi snervanti rinvii della crociata) lo impensieriva ben più dei musulmani». 
Dopodiché i Templari non ebbero mai quei cedimenti nei confronti del mondo musulmano che sarebbero stati loro imputati dal guardasigilli di Filippo il Bello, Guglielmo di Nogaret, allorché, complice l’inquisizione francese, li accusò di eresia. Neanche nei momenti estremi. Il sultano Baybars quando espugnò Safed (1266) offrì a seicento Templari la vita salva in cambio dell’abiura. Uno solo di loro accettò.

La fine di questa stagione è ben raccontata da Antonio Musarra in Acri 1291. La caduta degli Stati crociati (il Mulino). Questa caduta, scrive Ligato, fu causata, come la sconfitta di Hattin, da un’arbitraria e improvvida riapertura delle ostilità. In ogni caso «indusse a rispolverare quei progetti di unificazione di Templari e Ospitalieri (talvolta con l’inclusione dei Teutonici) già prospettati al II Concilio di Lione (1274)». Ma un Ordine mirante esclusivamente alla sempre più utopistica riconquista della Terra Santa, prosegue Ligato, «non avrebbe avuto futuro, e infatti Ospitalieri e Teutonici sopravvissero grazie al cambiamento dei propri obiettivi». I primi dedicandosi, come si è detto, alla difesa navale del Mediterraneo, contro le potenze islamiche e contro la pirateria araba, risorta dopo la fine del dominio crociato sul mare. I secondi «dedicandosi al teatro dell’Europa orientale, nuova terra di missione e colonizzazione». Gli Ospitalieri, inoltre, «seppero concentrare progressivamente le proprie attività sull’assistenza ai bisognosi».
Non ci fu invece scampo per i Templari, distrutti da Filippo il Bello. Dopo la caduta di Acri, secondo Ligato, «non avevano saputo trovare un nuovo teatro operativo» ed erano diventati «incompatibili con i nuovi Stati moderni, nei quali gli enti ecclesiastici erano progressivamente costretti al ripiegamento davanti alle nuove strutture politico-amministrative della monarchia, che rivendicava il monopolio della gestione economica e dell’attività militare».
Pochi anni prima, inoltre, Filippo aveva sostenuto un violentissimo scontro con papa Bonifacio VIII sulle prerogative dello Stato e della Chiesa, scontro culminato nell’aggressione allo stesso pontefice ad Anagni. Talché, scrive Ligato, non è da escludere che il nuovo papa Clemente V abbia concesso al sovrano francese e al Nogaret la mano libera nei confronti dei Templari (sempre meno utili e credibili) «in cambio della rinuncia a un processo postumo a Bonifacio e quindi alla Chiesa». Dopodiché i Templari e, in una certa misura, anche gli appartenenti agli altri Ordini, furono sottoposti ad un classico processo di cancellazione della memoria. Che fu reso possibile anche dalla distruzione da parte ottomana del loro archivio a Cipro nel 1571. E per secoli furono dimenticati dalla storia.