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 2020  marzo 22 Domenica calendario

Il rito delle 18

Sedute sulle poltroncine rosse della grande sala ci saranno in tutto una ventina di persone. Nessuna indossa la mascherina, tranne un operatore della Rai sbracato dietro una telecamera con l’aria piuttosto contrariata. Del resto, sia pure in isolamento, ci sono posti decisamente migliori dove trascorrere il sabato pomeriggio rispetto al quartier generale della Protezione Civile, via Vitorchiano 4, Roma, dove tra poco verrà celebrato il più grande rito di resistenza che il Paese ricordi dai tempi di Radio Londra, “Il Punto delle 18”. Tolto l’operatore imbronciato, gli altri sono tutti a bocca scoperta e senza guanti, liberi di immaginare sinistri incroci di respiri al centro della stanza, o di tracciare mentalmente le traiettorie dei rispettivi droplet durante le rare conversazioni. «Le mascherine le ho ordinate su Amazon e arrivano il 4 aprile», si giustifica un giornalista. Certo, nella sala sono tutti a distanza asettica, ma quando alla ragazza che sta trafficando coi microfoni sfugge un colpo di tosse nel gomito, o l’inviata del tg torna dal corridoio con in mano una bottiglia di acqua minerale prelevata dalla macchinetta di cui ha toccato la pulsantiera, un brivido corre sulla schiena di tutti.
Il rito comincia alle 18. Quella che un tempo ormai lontano e felice si sarebbe detta l’ora dell’aperitivo è invece oggi l’ora che spacca in due l’Italia, da una parte quelli che cantano Azzurro in balcone, dall’altra quelli che sperano invano di sentirsi dire che le cose stanno cominciando a migliorare.
Già dalle prime parole del celebrante Angelo Borrelli – il capo della protezione civile – si capisce che “Il Punto” sono più che altro tre puntini di sospensione, un intervallo ambiguo nel grande discorso collettivo che, trasmesso in streaming o in diretta tv, catapulta istantaneamente il Paese in un non luogo appeso a metà tra statistica e preghiera, tra matematica e speranza. Alla base della celebrazione parrebbero esserci i numeri dell’Istituto Superiore di Sanità, illustrati in diretta dal presidente Silvio Brusaferro: i contagiati, i guariti, i morti. Da lì si dovrebbe partire per poi sviluppare il ragionamento, la previsione, la strategia. Ma quei numeri, giorno dopo giorno, sono sempre più instabili e approssimativi, e nella loro tragicità appaiono «ormai insensati » come ha chiaramente spiegato a Luca Fraioli di Repubblica Enrico Bucci, professore della Temple University di Philadelphia, e come ieri sera alla fine del Punto non negava più nemmeno Sivlio Brusaferro. Svuotati di senso, a quei numeri resta dunque solo la complessità. Ed è proprio cavalcando quella complessità che il rito può risolversi in un appello di quaranta minuti «al senso di responsabilità dei cittadini» che «devono restare a casa» come «atto d’amore nei confronti dei più deboli». Il più classico dei sermoni, insomma.La natura liturgica e non dunque informativa (tantomeno giornalistica) del Punto diventa smaccata in chiusura, in quello che se fossimo a una vera conferenza stampa sarebbe il momento delle domande. Nonostante le raccomandazioni della fase preparatoria («però, davvero, ditegli di rispondere, oggi», è l’accorata richiesta di un giornalista all’ufficio stampa) è impossibile ottenere da Borrelli e Brusaferro affermazioni o precisazioni che chiariscano la situazione, o che spostino di un millimetro il discorso, le risposte sono in realtà solo altre raccomandazioni e altri appelli, per cui l’effetto ottico finale è che la colpa dell’aggravarsi della crisi è da attribuire esclusivamente all’irresponsabilità degli italiani. Compiendo così una straordinaria inversione dei ruoli: di solito è il popolo a lamentarsi dei governanti.
Le cose però cambiano decisamente una volta che il microfono si disattiva e la spia rossa sulla telecamera si spegne. Di fronte a una domanda un po’ più diretta delle altre, «ma non è che questi dati dimostrano che la strategia non sta funzionando e che detenere la gente in casa non ha senso se poi la si manda al supermercato senza mascherina?», Borrelli si dilegua all’inglese. Lasciando in prima fila il povero Brusaferro: «La verità – alza le braccia – è che i dati si stanno scontrando contro la real life, per questo non ci avete mai sentito attribuire ai numeri alcun valore predittivo». Il presidente dell’Iss se ne va così. L’addetto stampa prende un po’ di amuchina dal distributore appeso al muro, e lo segue. Nella sala scende il gelo.
L’unica che riesce a sorridere, non senza un po’ di pudore, è Susanna Di Pietra, la ragazza che traduce nel linguaggio dei segni la conferenza stampa. «Mi sento utile, col mio lavoro raggiungo 70mila persone», dice orgogliosa. Sta avendo un successo incredibile. «Mi scrivono sui social, mi fanno le interviste, mi dicono che sono brava. Rassicurante». Sono passati ormai più di dieci minuti da quando ha finito di tradurre “il Punto”, fuori, nella real life, l’Italia è di nuovo tutta unita sul balcone.