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 2020  marzo 22 Domenica calendario

Teologia dei pronomi

Nelle grammatiche delle lingue semitiche, dell’arabo, i verbi si coniugano cominciando non dalla prima persona ma dalla terza. Il verbo amare, per esempio si enuncia così: egli ama, tu ami, io amo. Dunque la prima persona è l’ultima ad essere presa in considerazione. In quelle lingue ogni verbo, nel suo paradigma, nel suo canone, viene enunciato a partire dalla terza persona. La terza persona, infatti, esprime la radice verbale allo stato puro, è il concetto stesso nella sua noce originaria. Chissà se questo passo indietro dell’io a vantaggio dell’egli (egli che va inteso sostanzialmente come Dio), e a vantaggio del tu (che va inteso come l’altro, gli altri), allude in qualche modo a un ordine generale nel quale il soggetto interessa di meno, viene dopo, e molto più importanti, vero riferimento, sono la divinità e la comunità.
Forse anche per noi l’io sta scomparendo, o è già in seconda fila (e l’infinito insistere dei nostri giorni sull’individualismo, sul corpo e sugli oggetti, sull’immagine di sé, potrebbe essere proprio la traccia di un già avvenuto tramonto). Per molti secoli, nella nostra cultura, l’“io” ha costituito un “atomo” di significato, un semplice dittongo, certo, ma forte, compatto e indivisibile. Poi nel Novecento l’“io” si sfalda, si scompone nella molteplicità: diventa una trinità labirintica nella psicanalisi (ego, io, super–io); diventa legione nella letteratura, come nell’Uno, nessuno, centomila di Pirandello o nella moltiplicazione degli eteronimi in cui Ferdinando Pessoa nullifica se stesso. Diventa scomodo per il poeta, difficilmente sostenibile, Montale forse per questo introduce il “tu”. L’io svapora nella quantità, diventa massa nei fronti di guerra e folla nelle piazze, le sue creazioni d’arte sono riproducibili tecnicamente; socialismo e fascismo, seppure ovviamente in modo del tutto opposto, accusano l’individuo proprio perché è individuo, dell’uno non si cura il soviet e nemmeno il dittatore, esaltando invece la collettività o la nazione. Dove l’io persiste, in letteratura o ovunque, è solo in senso negativo, in parole come egotico, egoista, egocentrico, come se il conio latino ego avesse originato solo voci indicanti l’io nella dimensione di un confinamento in sé, fallimentare e intransitivo. (E questo dopo che per tanto tempo la parola io non ave- va originato nessuna voce derivata, né buona né cattiva, ed era rimasta incomposta, e identica a se stessa.) Dopo tutto ciò, oggi, nello scrivere, nel narrare, i pronomi – io, egli, voi, tu, noi – appaiono piuttosto dei registri musicali, dei timbri narrativi, che non dei punti di vista fondati; sembrano vincolanti, sono parole perimetro, che la narrazione non può presupporre ma che deve colmare. La prima persona, l’io, spesso ingombrante come un armadio, finisce per essere un semplice testimone del racconto, che garantisce la propria partecipazione all’evento in veste di personaggio (magari un personaggio autoironico e fragile, come faceva Carlo Emilio Gadda di sé); sicuramente il tu facilita le cose, inventando un destinatario al proprio raccontare, un destinatario interno nella trama, vocativo o colloquiale, che da quel tu può essere descritto ma anche deriso, e che trova contemporaneamente un destinatario esterno nel lettore; il noi solleva chiunque dal peso dell’arbitrio, distribuisce la responsabilità dell’accaduto, in presenza di eventi storici, o come più spesso accade oggi costeggianti la storia, risuona ancora di un certo accento epico, seppure di quell’epica che già in Fenoglio era profondamente venata di “questioni private”. Ma dietro ogni pronome del racconto, c’è il pronome muto e sottinteso di chi narra; con quello entriamo davvero in contatto, col suo modo di pensarsi “io” nel linguaggio, personale come un respiro o un’andatura; col suo modo di bruciare nella forza del racconto ogni narcisismo, di risolverlo senza residui costringendolo a specchiarsi non nel mondo, di cui invece dovrebbe riempirsi gli occhi e l’anima, ma nel linguaggio appunto, unico luogo dove anche il lettore può riflettersi.