ItaliaOggi, 21 marzo 2020
Periscopio
Il povero sindaco di Milano, Giuseppe Sala, si è fatto vedere in giro, tutto bello soddisfatto, con la sua magliettina «milanononsiferma» poco prima che si fermasse l’intera Regione Lombardia. In precedenza, sempre Sala, aveva chiesto di tenere i locali aperti anche dopo le 18 e quindi di riaprire i musei, e poi si era fatto ritrarre mentre prendeva uno spritz e aveva commissionato un video stile «Milano da bere» 2.0 per esaltare i ritmi impensabili della capitale morale. Milano non si ferma. Il virus neppure. Filippo Facci. Libero.
Lo scenario mondiale peggiore è quello con il 30-70% della popolazione globale contagiata dal coronavirus con un tasso di mortalità dell’1-3%. Ciò significherebbe, nelle ipotesi migliori, 2 miliardi e rotti di contagiati e oltre 20 milioni di morti. Ciò che si vede già, invece, è la rottura della catena dell’offerta di merci e anche quella della domanda, in un’economia sempre più interconnessa che non può fare a meno della Cina. Se uno, come fa Trump, equipara il benessere dell’economia con quello della Borsa, allora si illude che la politica monetaria possa bastare, ma per la gente normale non è così. E se uno ha deciso di chiudere la fabbrica perché non ha più fornitori, non è che cambia idea per i tagli dei tassi. Joseph Stiglitz, Premio Nobel per l’economia (Riccardo Staglianò). il venerdì.
Un esempio di fake truth. Non ho mai creduto alla «gaffe» di Christine Lagarde, come invece ha scritto la stampa di regime. Anzi, ho apprezzato la presidente della Bce, perché è stata sincera e ligia ai protocolli della Banca. Io sono legalista. Per me i contratti non si interpretano, si applicano, oppure si cambiano. Se fosse stata una «gaffe» l’avrebbero cacciata. Ergo, sono (tutti) una milizia di birbanti. Riccardo Ruggeri. Zafferano.news.
Tenendo conto del salario medio nazionale, in Italia la retribuzione di un giudice della Corte suprema è del 90% più elevata che in Francia e quasi quattro volte più alta della retribuzione in Germania. La busta paga di un pm in servizio presso la Corte di cassazione è la più alta d’Europa, pari a 6,4 volte il salario medio nazionale. Carlo Cottarelli, direttore dell’Osservatorio dei conti pubblici presso l’Università Cattolica.
Milano, oggi così colpita dal coronavirus, è la città che ha avuto la capacità, in questi anni, di attrarre persone, società, intelligenze eccezionali. Non solo la Lombardia, ma l’Italia non può permettersi di perderla. Dobbiamo pensare a curare l’emergenza, ma anche e soprattutto pensare a domani. Dopo che sarà passato il virus dobbiamo spazzare velocemente le macerie. Remo Ruffini, patron di Moncler (Nicola Porro). il Giornale.
Non avendo fatto la riforma della finanza dopo la crisi del 2008 la macchina della finanza ha potuto proseguire ancora per il successivo decennio la sua «marcia trionfale» con i desideri al posto delle virtù, con i consumi al posto dei risparmi, con i liquidi al posto dei solidi, con i debiti al posto del capitale, con i tassi a zero o sotto zero. Nell’insieme, ancora per un decennio, un processo circolare per cui la finanza lanciava e alimentava la globalizzazione e la globalizzazione senza regole poteva coltivare e infine esportare i suoi frutti avvelenati. Giulio Tremonti, ex ministro dell’economia.
Romano Prodi, nel suo esordio politico con l’Ulivo, si rivolge al Paese e, a forza di mugugni, sospiri e sillabe strascicate, fa capire un concetto solo, ma fondamentale: noi siamo capaci di modernizzare l’Italia, e siamo capaci di farlo meglio di quei liberisti cenciosi, alla «tu vuò fà l’americano», che si sono radunati intorno a Berlusconi; noi siamo attenti alle compatibilità, non vogliamo massacri sociali, vogliamo mantenere gli equilibri. Edmondo Berselli, Sinistrati. Mondadori, 2008.
Nella parte più interna del golfo, sopra un’isoletta che era congiunta alla terra da un ponte lungo e stretto, sorgeva, fra le palme e i cipressi, un monastero con una chiesa e un campanile, munito all’intorno da torricelle e mura merlate, onde salvarlo da un primo assalto di corsari o di Saracini. Massimo D’Azeglio, Ettore Fieramosca. Vallardi editore, 1963.
Udii il rombo monotono e lontano di aerei da guerra che puntavano su Roma, su di noi. Ebbi l’impressione che lanciassero i soliti foglietti di propaganda, però non eran di carta perché cadevano veloci, simili a sassi senza svolare nel vento. Mi voltai verso i bambini, ma non c’eran già più. Sentii uomini urlare che erano bombe e uno, correndo, mi spinse quasi per terra: «Scappa, scappa» gridò. Presi anch’io a correre verso casa e intesi le sirene d’allarme, gli spari della contraerea dal campo sportivo, strani fischi, sibili lunghi e poi boati che facevano tremare la terra. Valerio Neri, Anna e il Meccanico. Marsilio, 2005.
Cadevano gocce grosse, pastose, rumorose nell’impatto sulla terra: ma nessuno si mosse, nessuno aprì l’ombrello, nessuno fiatò ascoltando la Canzone del Piave. Anche i morti uscirono dalle tombe per ascoltare quella cornetta. Ogni nota era una corda tesa, una palla di moschetto lanciata verso chissà dove. La schiena del podestà, per tutta la durata del pezzo, fu un brivido continuo. Andrea Vitali, Almeno il cappello. Garzanti, 2009.
A proposito di Cioran la sua compagna Simone Boué disse che ogni volta che lo scrittore faceva il suo ingresso in casa editrice si sentiva come una puttana che nessuno più desiderava. A lei faceva questo effetto? «Non penso che si vivesse in questa maniera così degradata o provocatoria. Oltretutto eravamo abbastanza amici, vivevamo nello stesso quartiere e a volte lo accompagnavo a fare la spesa. Era decisamente amabile». E depresso? «So che ne soffriva ciclicamente. Ma poi mi dico: uno che vuole suicidarsi va al mercato per scegliere i migliori pomodori? O le arance più buone? Era una figura sfaccettata. Un giorno, accompagnandolo in Rue de l’Odéon dove abitava, davanti al portone di casa con il sacchetto della spesa in mano, disse: Thérèse, sa che Parigi è la migliore città per fallire?». Fondava l’intera sua produzione letteraria sulla disfatta. «Sospetto che l’inferno esistenziale lo rendesse euforico. I suoi libri hanno distrutto molte nostre convinzioni. E alla fine perfino lui, quando imboccò il tunnel dell’Alzheimer. Una delle ultime volte in cui andai a trovarlo in clinica, con la traduttrice tedesca, portai dei cioccolatini e delle violette. Ci riconobbe. Ma non parlava. Poi cominciò a mangiare qualche cioccolatino e in seguito con un sorriso ineffabile passò ai petali delle violette. Credo che quel gesto, particolarmente comico, fosse fatto per farci piacere. Fu uomo delizioso e paradossale. La conferma che tra la letteratura e la vita non c’è una vera relazione. Proust lo ha detto: io non sono io». Teresa Cremisi, editrice a Gallimard. (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Sentivo la ricchezza di queste civiltà millenarie dell’Asia, delle quali ogni contadino, senza sempre saperlo, trasportava con sé una parcella. Hélie de Saint Marc, Les champs de braises. Perrin, 1995.