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 2020  marzo 21 Sabato calendario

Biografia di Lalla Romano

Lalla Romano ha spiato se stessa per tutta la vita e ha scelto di rendere pubbliche, con la scrittura, le notizie, anche privatissime, che su se stessa andava raccogliendo o riesumando attraverso la memoria. Non ha voluto mai scrivere un’autobiografia, seguendo un canone antico e in qualche modo consacrato, ma più semplicemente ha deciso di raccontarsi, ponendo proprio la scrittura in primo piano e indirizzandola verso il proprio oggetto come si fa con un cannocchiale. Lalla Romano, piemontese, nata a Demonte ( Cuneo) nel 1906, fece un tirocinio abbastanza lungo. Voleva fare la pittrice e, di fatto, andò a scuola a Torino da Casorati. Anche quando volle privilegiare la scrittura, che del resto aveva sempre praticato, non abbandonò mai lo sguardo del pittore, che sa cogliere il frammento di vita fissandolo per sempre in uno schizzo di colore. Si era misurata anche con la poesia ( Fiore, 1941), con la benedizione di Montale. Ma, e non è un caso, Lalla Romano resta nella memoria di tutti come scrittrice in prosa.
Il primo libro, Le metamorfosi, un esile volumetto che Vittorini accolse nei suoi Gettoni ( siamo nel 1951) è stato un po’ sommerso da quelli successivi, ma è già toccato dalla grazia. Si tratta di visioni, sogni, immagini, che trattengono anche alcuni segni del tempo. Per esempio la lotta partigiana. La scrittura è rapida, limpidissima. L’io narrante varia dal femminile al maschile. Un chiaro indizio di metamorfosi. Dopo l’esordio ci saranno diversi altri libri, ma lo scarto decisivo avviene con La penombra che abbiamo attraversato ( 1964), subito avvertito dalla critica come un libro importante. Il titolo viene da Proust, ma la discesa all’infanzia, come avverte subito Anna Banti, non è proustiana e non somiglia affatto a quella del Lessico famigliare della Ginzburg, uscito da non molto e richiamato nella presentazione editoriale.Lalla Romano rivive a Ponte Stura ( nella realtà Demonte) mescolando ricordi che affiorano dal passato con impressioni ricavate da una visita recente al paese. Vede dunque con la memoria, che implica non solo i ricordi propri ma anche quelli della famiglia, dell’amatissimo padre e della madre. Ed è proprio dopo la morte della madre che la scrittrice torna al paese e va a rivedere la casa che abitava e si fa dare in comune ( dove il padre lavorava) la chiave del cimitero per una ulteriore ricognizione. Tutto affiora sulla pagina senza un preciso ordine temporale, anzi i tempi si mescolano e con i tempi gli odori e le sensazioni prodotte dal paesaggio rivisitato e confrontate con quelle di una volta. È un libro che non si può riassumere, perché non contiene una storia né un intreccio e dunque va vissuto esattamente come è stato vissuto da chi l’ha scritto. Giulio Ferroni in un saggio del 1994 dedicato alla Penombra scrive: «È un mondo assolutamente” altrove”, che il lettore al contempo sente avvicinarsi e allontanarsi, in una sua magia luminosa ed essenziale».La felicità è qualcosa che appartiene al passato. È la madre, prima di morire, ad accennare al fatto che erano stati felici. E felice è sempre il padre, visto come una sorta di nume onnipotente, in perenne connubio con i luoghi che ama e visita per passeggiare o andare a caccia. Era ricca la famiglia Romano? La bambina lo credeva, sentendosi alla pari con le prime famiglie del paese. In realtà il padre era un funzionario comunale, comunque soddisfatto del suo lavoro. E come molte famiglie di piccola borghesia avevano però in casa una donna di servizio, Maria, cui Lalla Romano aveva già dedicato, nel ’ 53, un libro. Dunque la scrittrice spiava se stessa, cercando di decifrare i grovigli del vivere, compresa la gelosia per la nascita di una sorellina.Ma lo spionaggio, inteso come rivelazione di particolari molto privati, raggiunge il suo acme con l’altro grande libro della scrittrice, Le parole tra noi leggereche, nel ’69, trionfa allo Strega ed ottiene anche un grande successo di pubblico. Il tema del libro è presto detto: si tratta del racconto, dettagliato e persino sostenuto da documenti privatissimi come lettere e appunti vari, della vita del figlio Piero, nato nel 1933 dal matrimonio con Innocenzo Monti. Il libro, che mette in gioco innanzitutto la scrittrice nel suo ruolo di madre, non piacque affatto al figlio. Ma Piero non era un ragazzo come tanti. Cesare Segre (che era molto amico della Romano e curò i Meridiani a lei dedicati) notò che lei aveva incredibilmente preferito la scrittura sacrificando il figlio. Piero è persona abbastanza indecifrabile e il tentativo di decifrarlo percorre tutto il libro. Rifiuta la scuola (odia il latino) e sopravvive a stento al tentativo dei genitori di farlo in qualche modo studiare, magari in istituti privati. Ma ha una sua cultura e una gerarchia del sapere molto personale. Ama la natura e, appena ne ha l’età, le motociclette e le armi. Ma non è un guerrafondaio. Nel libro d’esordio, Le metamorfosi, c’è qualcuno che ad un certo punto sogna di guidare un treno. È esattamente il sogno di Piero e mi sono chiesto se i sogni, da madre a figlio si trasmettono per via genetica. Le parole tra noi leggere è un libro coraggioso, una sfida. La vera insegna di Piero (lo scrive l’autrice stessa ad un certo punto) è quella di Bartleby lo scrivano: preferirei di no. È un no rivolto a quasi tutto ed è dunque un no inquietante. Anche per il lettore.Poi la Romano continuò a raccontarsi. Nel 1973 scrisse un piccolo libro intitolato L’ospite in cui descrive il suo rapporto con Emiliano, il figlio di Piero, accolto in casa a pochi mesi mentre i genitori erano in viaggio all’estero. Ancora, nel ’ 79, pubblica Una giovinezza inventata, che è la storia della sua vita da studentessa a Torino, quando frequentava lo zio, il celebre matematico Giuseppe Peano, e dormiva dalle suore. Ci sarà infine ( 1987) Nei mari estremi, dove narra del rapporto col marito Innocenzo, allora vicino alla morte e poi, ancora, i libri allestiti con Antonio Ria, tra scrittura e fotografia. La Romano è scomparsa nel 2001.