Robinson, 21 marzo 2020
Crociati brutta gente
E dire che i crociati erano soprattutto temuti in Siria perché considerati antropofagi. I franchi che nell’XI secolo invasero la nazione araba furono descritti tali anche da Albert d’Aix, un cronista che li accompagnava nelle loro razzie e che raccontò che «ai nostri non solo non ripugnava di mangiare né turchi né saraceni uccisi, ma nemmeno i cani!». Nel suo libro Le crociate viste dagli arabi, appena ristampato dalla Nave di Teseo con una bella traduzione di Ziba Moshiri Coppo, Amin Maalouf si chiede se gli invasori occidentali erano cannibali per necessità, vista la carestia che colpiva le loro truppe, oppure per fanatismo.
Per discolparsi, in una lettera scritta al papa, i cavalieri confessarono che erano stati costretti «a nutrirsi dei cadaveri dei saraceni» per via di un inverno particolarmente rude. Gli arabi raccontarano invece di sfrenate soldataglie di franchi che durante le loro scorrerie gridavano «la loro volontà di mangiare la carne dei saraceni e radunarsi alla sera attorno al fuoco per divorare le loro prede».
Quello sul cannibalismo è uno dei tanti episodi che avvalora la tesi centrale del libro di Maalouf, e cioè che le crociate sono state un episodio storico così drammatico e così ferocemente sanguinario, da non essere stato ancora metabolizzato nei secoli. «Rappresentano un evento fondante nel conflitto tra il mondo occidentale e quello arabo», scrive nella sua nuova introduzione l’autore, tanto che «questa guerra che è iniziata quasi mille anni fa non è mai realmente finita». Il che le rende anche l’origine dello scontro di civiltà.
Per gli storici europei le crociate non sono state soltanto una mobilitazione del cristianesimo contro il mondo islamico, ma anche un’invasione precoloniale dell’impero ottomano, con il suo corredo di furti giganteschi e di orrende violenze. Eppure, prima di Maalouf nessuno aveva ancora raccontato come le crociate erano state vissute e raccontate da chi questa invasione aveva subìto. E chi poteva farlo meglio di lui, nato nel 1949 a Beirut da una famiglia cristiana, con l’arabo come madrelingua ma allievo per tutta la sua scolarità in un collegio di padri gesuiti francesi?
Maalouf, vincitore nel 1993 del premio Goncourt per il romanzo Col fucile del console d’Inghilterra ed eletto nel 2012 all’Académie française dove occupa lo scranno lasciato vacante dopo la morte di Claude Lévi-Strauss, sulle crociate non si sbilancia sulle colpe degli uni o degli altri. E non prende mai partito, per nessuno. Al contrario, attingendo alla ricca storiografia e letteratura araba sull’argomento, sia dei capitani franchi sia degli emiri, Maalouf preferisce descrivere l’avidità, la codardia, la slealtà. «Il mio scopo non era assolutamente dire che questa diversa visione era più giusta dell’altra. Volevo solo sottolineare che per capire l’evoluzione del mondo, era necessario prendere in considerazione le due opposte versioni della storia, non solo una. In un certo senso, raccontare le crociate viste dagli arabi è un esempio di equità e lucidità».
Il libro esce nel 1983, in anni lontani dalle stragi jihadiste che hanno insanguinato la Francia, da Charlie- Hebdo alla promenade des anglais di Nizza. Eppure, già allora, Maalouf era consapevole di quanto anche nel mondo musulmano, l’antico confronto tra Islam e Cristianesimo ancora agitava la mente di alcuni, come se i massacri compiuti in quei lontani due secoli, avessero generato «risentimenti che il passare del tempo non ha davvero guarito». Come se il ricordo dei massacri compiuti allora ancora bruciasse nella memoria del popolo arabo. E basterebbe citare quello della prima conquista della Città Santa, il 15 luglio 1099, quando dopo un assedio durato quaranta giorni i «guerrieri biondi rivestiti di armatura» sgozzarono uomini, donne e bambini, e saccheggiarono case e moschee. Maalouf si dice certo che i rispettivi racconti sulle crociate hanno definito l’Occidente e il mondo arabo influenzandone a tutt’oggi i rapporti. La loro storia è ancora impetuosamente presente, e «vi sono tutte le ragioni per credere che la conoscenza di queste guerre dei tempi passati rimarrà necessaria per molto tempo ancora». Quanto meno per capire le violenze che ancora funestano il mondo di oggi.