la Repubblica, 21 marzo 2020
Perché si muore in Lombardia?
In Lombardia il coronavirus «circola in modo anomalo e sta uccidendo troppo». Gli scienziati accendono i riflettori sul cosiddetto «mistero di Bergamo», caso scuola a livello mondiale. A far scattare l’allarme, a un mese dal primo caso, l’esplosione di contagi, malati gravi e morti. Nemmeno a Wuhan si sono raggiunte cifre e percentuali tanto spaventose. In Cina la letalità media è stata del 2%, meno della metà in Corea del Sud. In Lombardia muore circa il 10% dei malati, contro il 2,6% del Veneto. A Bergamo il 64% dei positivi ha bisogno di essere ricoverato in ospedale, più del doppio di quanto avviene in Veneto. In Germania, su 15 mila casi, i decessi sono 43. In Lombardia, su oltre 20 mila casi, siamo a poco meno 2.000 vittime e oltre 1.000 ricoverati in terapia intensiva.
«È in corso una catastrofe – dice Ilaria Capua, virologa presso l’università della Florida – e dobbiamo fare presto a capire perché. Se l’anomalia conquista Milano potremmo assistere a un’ecatombe: ipotizzabile in altre grandi città, come Londra, Berlino e Parigi». Anche Richard Pebody, capo squadra in Europa per le emergenze infettive dell’Oms, segue da giorni il caso-Lombardia. «Perché qui il virus sia tanto concentrato – dice – è una domanda che ci tormenta. Per ora non abbiamo una risposta certa: è probabile si siano create le condizioni perfette per una combinazione di fattori». Il problema è individuarli. Il virologo Roberto Burioni ha collegato l’esordio dell’anomalia al modo di diagnosticare gli infetti. «Decisiva – dice – è stata la scelta dei soggetti a cui fare il tampone. Con il passare dei giorni però è arrivata la sorpresa: in Lombardia i positivi al test superano il 30%, in Veneto si fermano al 6%. La sfida è comprendere perché il ceppo lombardo si diffonde più rapidamente e si rivela più aggressivo».
Dopo quattro settimane, grazie ai referti dei medici, vacilla anche la pista anagrafica. «L’età media italiana è alta – dice il virologo Fausto Baldanti – ma simile a quella di Giappone, Sud Corea e Germania. Nella prima fase il virus si è accanito sugli anziani già colpiti da altre patologie. Ora però non è più così e nonostante l’età dei contagiati si abbassi, la mortalità rimane esagerata. Per capire serve tempo, così meglio concentrarsi sulle misure di contenimento. Nel Lodigiano e a Vo’ Euganeo le prime zone rosse hanno funzionato: i nuovi casi sono crollati a uno e due al giorno. A Pavia siamo al 3% della popolazione. Se facciamo il paragone con Brescia, dove registriamo 460 positivi in un giorno, è evidente che qualcosa ancora non va nei comportamenti».
Nel mirino anche smog e sostanze tossiche. Tra Lodi, Milano, Bergamo e Brescia c’è una delle più alte concentrazioni europee di industrie e allevamenti. Gli scienziati osservano che la correlazione tra inquinamento e Covid-19 «non ha ancora prove scientifiche» e concentrazioni simili a quelle lombarde si registrano anche in Cina, in Veneto e in Baviera. Allo studio c’è però il rapporto tra virus e patologie favorite dallo smog, come ipertensione, difficoltà respiratorie e di abete, quasi sempre presenti nei decessi. Di qui la distinzione tra vittime «per» o «con» coronavirus. «Per esclusione – dice Capua – dobbiamo così ritornare sull’anomalia dei focolai scoppiati a Codogno, Bergamo, Brescia e Cremona. In comune hanno l’epidemia partita dentro agli ospedali. A livello di ipotesi esistono fattori sconosciuti che possono favorire la diffusione aerea del virus. Quello dalla Sars 1 aveva cominciato a circolare nel sistema di condizionamento di un hotel di Hong Kong. In Lombardia dobbiamo capire subito se il Covid- 19 è entrato in impianti di areazione, magari vecchi, che ne hanno accelerato e moltiplicato la circolazione proprio tra chi ha difese più fragili».
Tra le poche certezze, ammesse anche dall’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, c’è «un’ampia fetta di popolazione non mappata». Fare i tamponi «solo a persone che presentano i sintomi di una polmonite» alza la percentuale di positività. Secondo molti medici causa però anche diagnosi non tempestive, con infetti presto trasformati in malati gravi, o defunti. «In effetti – dice Roberto Cosentini, direttore del reparto di alta intensità dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo – in Lombardia un tasso di mortalità così esagerato un mese fa era impensabile. Qualcosa non sta funzionando, può essere che si debba studiare il passaggio degli infetti tra pronto soccorso e terapie intensive. Forse intervenire prima e in modo diverso stimolerebbe la produzione degli anticorpi». La prova capace di incastrare il virus-killer in Lombardia sarebbero solo i ripetuti tamponi a tappeto, modello Seul. «Purtroppo – dice il biologo molecolare Massimo Pizzato – manca il personale per fare i test e i laboratori per processarli».