Le finestre si aprono sul Parco dei Colli, tanto verde e all’orizzonte Bergamo alta. «Da qui di solito sento il rumore del silenzio, invece adesso solo le sirene delle ambulanze e il rintocco delle campane a morto. Tutti i giorni, a tutte le ore». Sofia Goggia guarda la sua città ferita. La campionessa olimpica di discesa, 27 anni, sta recuperando dalla frattura al braccio sinistro rimediata cadendo nel superG di Garmisch a febbraio che le ha fatto concludere in anticipo la stagione. È nella sua casa bianca, luminosa, sul soffitto travi di legno chiaro. Ci parla in videochiamata dalla cucina, mentre prepara un caffè. «Adesso sto bene, è quasi tutto passato. Non ho niente, rispetto a tutto il dolore che sento attorno».
La sua Bergamo è in ginocchio.
«E la devo guardare da lontano.
Non vado in città, abito in una zona normalmente isolata che in questi giorni lo è ancora di più. Faccio solo la spesa per portarla anche ai miei genitori, gliela lascio sull’uscio, che pena non poterli abbracciare. Sono molto preoccupata per loro, mio papà Ezio ha 69 anni, mamma Giuliana 67. Stanno morendo molti loro amici. Sta morendo la mia gente».
Michela Moioli, bergamasca come lei, ha perso la nonna e ha il nonno malato.
«Siamo molto legate alla nostra terra, volevamo lanciare un crowfunding per aiutare gli ospedali, ma Micky aveva le sue ultime gare di coppa del mondo di snowboard e quindi abbiamo deciso di unirci a tutte le iniziative di raccolta fondi indette per Bergamo».
Come stanno reagendo i bergamaschi a questa emergenza?
«Uniti, come in tutta Italia. Lo stereotipo dei bergamaschi è di essere dei paesanotti che scendono dalla valle parlando solo il dialetto, contadini attaccati alle proprie origini. Ma in realtà ci piace portare le tradizioni in giro per il mondo e specie in questa fase siamo i bergamaschi 2.0, con l’aeroporto di Orio al Serio che è il 5° per numero di passaggi all’anno nel nostro Paese. Siamo i local international, anche per il virus».
L’Italia un avamposto anche nella battaglia.
«Le scelte restrittive del nostro governo sono state esemplari per tutta l’Europa. E mi è piaciuta questa fierezza di sentirsi italiani.
Siamo sempre un po’ quelli che si lamentano sentendoci sempre con l’acqua alla gola, ma con le spalle al muro reagiamo tirando fuori qualcosa in più, a me è successo nella mia storia sportiva. Calore e unità sono nella nostra indole. Mi ha commosso vedere tanti cantare alle finestre, noi italiani abbiamo un genio e creatività non comuni».
La sua vita com’è cambiata?
«Vado a correre alle 7 del mattino nei boschi, non c’è nessuno. Cerco di mantenermi in forma. Devo rimettere a posto delle cose, non solo fisiche, in attesa delle linee guida della federazione sula preparazione estiva. Leggo la trilogia di Rachel Cusk: Resoconto, Transiti e Onori. Mi attraverso e aspetto. C’è tempo prima della prossima stagione con i Mondiali a Cortina, non c’è l’urgenza dei nostri colleghi di sapere se ci sarà l’Olimpiade a Tokyo».
Cosa si augura, Giochi sì o no?
«Mi auguro che il Cio prenda decisioni giuste per gli atleti e per la società, e che le prenda in fretta perché i Giochi creano di per sé tensioni agli sportivi oltre a imporre una programmazione particolare.
Allenarsi in questa incertezza è terribile. Lo sportivo lavora per l’Olimpiade, il cui risultato viene scritto sulla pietra. Puntare su un evento sul quale si è investito tutto o salvaguardare la salute di tutti?
Propenderei per la seconda opzione anche se sono quattro anni che si lavora per la prima».
Anche quella dello sci è stata una stagione interrotta.
«Ci sono state 10 gare in meno ma chi doveva sciare forte ha sciato forte. La chiusura in anticipo ha congelato la classifica, tutto qui. Poi sì, è stata una stagione strana con Mikaela Shiffrin che ha perso il papà, una tragedia fuori dal mondo della neve che le ha impedito di conquistare la coppa sul campo e nel momento in cui ha provato a rientrare dopo il lutto le gare sono state annullate. Succede, come quando gli atleti di punta sono infortunati: ciò non toglie il merito agli altri, Federica Brignone ha vinto la coppa del mondo dimostrando di essere sempre sul pezzo in tutte le discipline. Le ho detto brava, perché quello che ha ottenuto per me dipende anche da una sua crescita personale».
C’è un modo di crescere anche
attraverso questa pandemia?
«Se non ne veniamo fuori senza essere cambiati e aver appreso nulla saremmo degli stupidi. Il coronavirus ci costringe a fermarci in un Millennio in cui viviamo a ritmi esasperati anche per l’enorme disponibilità di tecnologia. Tutti corrono, ma sempre con la sensazione di perdere pezzi.
Pochissime persone vivono nel presente. Questo stop forzato ci costringe a stare con noi stessi: è una cosa che fa paura, ma ci fa riscoprire cose trascurate nella nostra corsa. Spero che ripartiremo da qui senza cancellare quello che ci sta capitando, perché siamo sempre il frutto di tutte le esperienze che viviamo, nel bene e nel male. Per quanto dura e dolorosa, è un’occasione per migliorarci. Io poche volte in vita mia ho fatto tante videochiamate come ora: le facce delle persone parlano e le parole non sono emoticon, ma valori che abbiamo sepolto come i cani con l’osso».