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 2020  marzo 18 Mercoledì calendario

Edoardo Pesce parla del suo Alberto Sordi

Edoardo Pesce dice che per interpretare il giovane Alberto Sordi ha cercato «la tenerezza». «Ai personaggi cerco di regalare una malinconia fanciullesca» spiega, «ho cercato quella di Sordi in Detenuto in attesa di giudizio e Una vita difficile quando si toglie la corazza del cinismo romano e si “desordizza”, mostrando la fragilità». Ci è riuscito in maniera perfetta nel film tv Permette? Alberto Sordi di Luca Manfredi (di cui firma anche la sceneggiatura col regista e Dido Castelli), in onda martedì su Rai 1. Una prova di talento dopo il pugile di Dogman di Matteo Garrone (gli è valso il David di Donatello e il Nastro d’argento) e Giovanni Brusca ne Il cacciatore. Il film (Rai Fiction — Ocean Productions) esplora la parte meno nota della vita di Sordi, dal 1937 al 1957 quando, aspirante attore, incassa i no per la dizione “troppo romanesca”. Poi i primi lavori: doppiatore di Oliver Hardy, l’avanspettacolo, la radio, fino al set. Il Sordi privato è un figlio legatissimo ai genitori (Paola Tiziana Cruciani e Giorgio Colangeli), al fratello Pino (Paolo Giangrasso), alle sorelle Savina e Aurelia (Luisa Ricci e Michela Giraud). E poi l’amore con Andreina Pagnani (Pia Lanciotti), più grande di lui, l’amicizia con Fellini (Alberto Paradossi). Lillo Petrolo ha il ruolo di Aldo Fabrizi.

Pesce, ha rivisto i film per interpretare Sordi?
«Non c’è stato bisogno, li conosco a memoria. Vengo da una famiglia romana grande appassionata di cinema e teatro ma i miei non avevano il culto di Sordi. Lo amavano come attore ma non erano fan sfegatati, anche se sono cresciuto con le commedie di Risi, Monicelli e Scola».
Però avrà sentito la responsabilità.
«Quella sì, ma senza soggezione, anche se è un mito. In un certo senso sono stato fortunato, non avevo il terrore che può paralizzare. Mi sono messo “la maschera” di Sordi, come un napoletano indosserebbe quella di Pulcinella. Era l’unico modo per interpretarlo. Anche il suo famoso saltello mi è venuto naturale. Il primo provino è durato otto ore, utile per tre scene fondamentali».
È anche il simbolo della romanità, come si è avvicinato?
«È stato facile, mi sono ispirato alla romanità “nobile”, quella di Fabrizi e della Magnani, alle espressioni sentite in casa. Ho seguito l’istinto, non abbiamo cercato la somiglianza, non ne ho fatto una macchietta. È il nostro omaggio nel centenario della nascita».
Alla fine si è promosso?
«Guardi, io purtroppo narcisismo zero. Quando capivo che le scene piacevano ai macchinisti che mi dicevano “bravo”, ero contento. Ho mantenuto la concentrazione di un tennista all’ultimo set».
Ha avuto dubbi quando Manfredi l’ha cercata?
«Quando Luca mi ha chiesto: “Ti va di fare un film su Sordi?”, ho risposto: “Va bene, ma Sordi chi lo fa?”. Ne ho avuti di dubbi, sia perché ho 40 anni, il doppio di quelli di Sordi all’inizio del film, sia per la mia stazza. Sono alto e grosso, problema che Luca ha risolto facendo indossare agli altri stivaletti coi tacchi. Lillo sembrava uno dei Cugini di campagna».
Quali film di Sordi preferisce?
«Tanti: La grande guerra, Un americano a Roma naturalmente, Una vita difficile è un capolavoro. Il mio preferito è Il vedovo».
Dalla storia emerge la tenacia, si è conquistato tutto.
«Noi conosciamo l’attore famoso, qui raccontiamo Alberto prima che diventasse Sordi, il ragazzo romano che sognava la carriera artistica. Gli hanno sbattuto tante porte in faccia. Il film mostra la sua determinazione, un esempio per i giovani, non si è arreso».
A lei com’è andata agli inizi?
«Qualche porta in faccia l’ho beccata. Ma non avendo la tenacia di Sordi mi è andata bene, non so se avrei continuato. Ho lavorato tanto in teatro, ho cominciato nel 2003. Il cinema è arrivato dopo e il set mi ha dato l’idea di famiglia, la cosa che mi piace di più. Anche nel film l’aspetto più interessante è quello familiare, avevo un’idea quasi astratta del Sordi uomo. È stato bello immaginarlo nel privato».
La preoccupa in particolare il giudizio di qualcuno?
«Quello di Carlo Verdone. Prima delle riprese Marcello Fonte, con cui ho girato Dogman, mi ha detto: “Vai sulla tomba di Sordi”. Sono andato al Verano a portargli i fiori. Non c’era nessuno, sono stato lì, da solo, con un fiore giallo e uno rosso in mano. Mi sembrava di essere in un film di Verdone».
Dopo questa fiction che succederà?
«Deve uscire, non so quando, Gli indifferenti di Leonardo Guerra Seragnoli, dal romanzo di Alberto Moravia, feroce critica alla borghesia del Ventennio con Valeria Bruni Tedeschi e Giovanna Mezzogiorno».