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 2020  marzo 18 Mercoledì calendario

Storia e disastri dei virus

Le grandi epidemie, dal vaiolo al coronavirus: il virologo Roberto Burioni spiega come i microrganismi hanno segnato nei secoli la storia dell’uomo

Il «cigno nero», l’epidemia di Covid-19, era imprevedibile?
«No, era prevedibilissimo (secondo la teoria dell’epistemologo libanese Nassim Nicholas Taleb, il cigno nero è un qualsiasi evento, appunto imprevedibile, capace di sconvolgere la società mondiale, ndr). Da tempo gli scienziati – spiega Roberto Burioni, professore di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute del San Raffaele a Milano nel suo libro «Virus, la grande sfida» – avevano lanciato un allarme circa una possibile epidemia. La questione che si sono sempre posti gli scienziati, era “non come arriverà, ma quando?”. Ecco siamo arrivati al quando: oggi ci dobbiamo confrontare con un virus respiratorio che si chiama coronavirus. Ma le avvisaglie della sua nuova comparsa erano emerse in passato con l’epidemia di Sars del 2003 e di Mers del 2012, dovute sempre a coronavirus». Dunque, non si dovrebbe parlare di «cigno nero»...

I virus esistono da sempre? Quando sono pericolosi per l’uomo?
«Sì, i virus esistono fin da quando hanno avuto un ospite da infettare: da soli non ce la fanno a sopravvivere – continua Burioni – e hanno bisogno di altri esseri viventi per moltiplicarsi. Molti coronavirus, nel tempo, si sono adattati all’uomo e provocano solo banali raffreddori. Sono diventati “buoni” e noi ci possiamo convivere. Poi ci sono i “cattivi”, come il nuovo Sars-CoV-2, che hanno come serbatoio certi animali e, poi, fanno il salto di specie, arrivando all’uomo in tempi rapidi: è il cosiddetto “spillover”. E per noi sono guai, perché non abbiamo difese». Nel caso del nuovo coronavirus, il contagio è molto elevato e molte persone vengono infettate; il virus in una buona percentuale di casi provoca polmoniti gravi, interstiziali, che richiedono una ospedalizzazione e un’assistenza respiratoria in reparti di terapia intensiva.

Sono organismi semplici, fatti di Rna o Dna. Come fanno a sopravvivere?
«Sì, i coronavirus sono fatti solo di materiale genetico: o il Dna o l’Rna (il primo si chiama acido desossiribonucleico, il secondo acido ribonucleico ndr), racchiusi in una specie di membrana (quella del coronavirus è una capsula che ha, appunto, la forma di una corona, per via di quegli “spike” quelle piccole antenne, che permettono al virus di attaccarsi alle cellule umane e penetrarle, ndr). Non possono riprodursi da soli e per questo hanno bisogno di infettare cellule umane per replicarsi. Ecco perché alcuni vaccini stanno cercando di interferire con queste “antenne” per fare sì che il virus non riesca a colonizzare le cellule umane», sottolinea Burioni. Altri vaccini stanno invece cercando di neutralizzare certi geni del virus che possono essere utili per stimolare la difesa immunitaria dell’organismo e quindi possono tenerlo a bada.

Tutte le grandi epidemie sono state provocate dai virus?
Non sempre le grandi epidemie della storia sono state causate da virus. La peste è provocata da un batterio. «È così, ma la peste è una “metafora” (l’agente della peste è un batterio che si chiama Yersinia pestis, ndr). Ha provocato grandi epidemie storiche, da quella di Giustiniano, del Seicento dopo Cristo, fino alla “peste nera” del Milletrecento a quella di manzoniana memoria nel Milleseicento», afferma Burioni. «Però, poi, ci sono le “nuove” epidemie del secolo passato: tutte da virus. A partire dall’influenza Spagnola fra il 1918 e il 1920, per arrivare all’Aids, comparsa sulla scena all’inizio degli anni Ottanta, fino all’Ebola, che ha provocato la prima grande epidemia a partire dal 2014 in Africa Occidentale (ora è in atto nella Repubblica democratica del Congo). Attualmente, per fortuna, contro l’Ebola si sta sperimentando un nuovo vaccino che sembra essere efficace».

Da dove originano le grandi epidemie? Sono tutte nate in Cina?
«L’Hiv è partito dall’Africa, come l’Ebola, l’influenza suina dal Messico». Zone geografiche diverse, ma esiste un tratto comune. «Il contagio nasce sempre da una contiguità fra uomo e animale. Ma andiamo indietro nel tempo – chiarisce Burioni —. Pensiamo, innanzitutto, al morbillo: il virus è derivato dalla peste bovina, si è diffuso in Europa intorno al XII secolo nelle comunità che vivevano gomito a gomito con i bovini. Così ha fatto l’Hiv, appunto, trasmesso dagli scimpanzè africani agli umani (il virus circolava già fra gli umani all’inizio del Novecento, poi si è diffuso massicciamente nel mondo a partire dagli Anni Ottanta). E l’H1N1, il virus dell’influenza suina del 2009, è nato in Messico». Quindi nell’espandersi delle epidemie finiscono per contare fattori sociali ed economici, comprese situazioni in cui la povertà gioca un ruolo importante.

Quanto contano gli interventi dell’uomo sugli habitat naturali?
Fermo restando che la globalizzazione ha creato le condizioni ideali per i contagi da virus (vedi il turismo o i trasporti aerei, per esempio), rimane il fatto che certi interventi dell’uomo sull’ambiente sono stati deleteri. Per dire: la deforestazione portata avanti in maniera massiva in certe foreste equatoriali, come quelle dei Paesi del Golfo di Guinea in Africa, dove si sono segnalate le prime epidemie di Ebola, hanno permesso agli animali, serbatoi di virus mai giunti fino all’uomo in precedenza, di raggiungere le zone urbane. Lo stesso in Cina: certe abitudini alimentari, confinate per secoli in zone rurali del Paese, non avevano prodotto danni. Nelle megalopoli, come nei mercati di Wuhan, si sono invece rivelate un disastro. La Mers, l’infezione da coronavirus nel Medio Oriente, è stata veicolata all’uomo da animali come i cammelli.

Abbiamo sconfitto il virus del vaiolo e (quasi) la polio. E il coronavirus?
«Il virus del vaiolo e quello della polio circolano soltanto (o quasi, per la polio) negli umani. Non c’è serbatoio animale, come per il corona e altri virus influenzali. Così il vaccino è riuscito a cancellare la malattia dalla faccia della Terra (definitivamente per il vaiolo). Per altri virus è diverso. E adesso ci stiamo confrontando con questo nuovo coronavirus che è tutto da studiare (non si capisce per esempio se darà la famosa “protezione di gregge”, invocata dal premier inglese Boris Johnson, ndr). Non sappiamo come si comporterà: potrebbe cambiare e sfuggire ai vaccini oppure no: la ricerca si sta facendo in quattro. E speriamo che vinca. La ricerca», conclude Burioni.