«Sono strange days», “giornate strane” saluta al telefono Luca Guadagnino, segregato nella casa milanese da cui si sposta solo per andare al montaggio della sua serie We are who we are . «Le regole si rispettano, per senso civico. Sono un cittadino, eseguo quello che mi viene chiesto di fare». Poi bisognerà capire quanto tutto questo ha piegato il tessuto costituzionale dell’Italia, una riflessione che si potrà fare più avanti». Lo spunto di conversazione sono i dieci anni di Io sono l’amore, il film che fece conoscere il regista in tutto il mondo. Uscito nel 2010, con Tilda Swinton, Gabriele Ferzetti e Alba Rohrwacher, fu inserito tra i migliori dieci dell’anno dal New York Times, nei migliori del decennio da Quentin Tarantino e Variety.
Come vive questi giorni?
«Uno stillicidio, un chiudersi progressivo che corre più della tua velocità di adattarti. C’è una contraddizione tra la mutevolezza della situazione e l’immanenza di questa sorta di cappa, come se così è e così sarà».
Sente amici dagli altri paesi?
«Ricevo messaggi da tutto il mondo come se fosse un problema italiano e con un po’ di sarcasmo ricordo che noi siamo dieci giorni avanti agli altri. È una situazione inevitabile che in altre parti le persone fanno fatica a capire».
Come passa il tempo?
«Con l’iPad attaccato alle news. Mi aiuta l’abitudine di comprare i giornali. L’informazione è un bisogno primario. E poi molta lettura e lavoro, questo tempo lungo permette di riordinare le cose con meno affastellamento».
Lavora da casa?
«Ho sempre lavorato “da casa”. Ho sempre avuto il privilegio, lo dico con umiltà, di non aver mai dovuto lavorare in un posto fisso, ma aver fatto diventare ogni luogo in cui mi trovavo il mio luogo di lavoro».
Che cosa legge?
«Sto leggendo L’Italia occulta di Giuliano Turone, parla della strategia della tensione. Mi interessa la storia italiana del secondo Dopoguerra, molte delle ragioni per cui siamo qui, anche in questa situazione, si possono interpretare alla luce di una certa gestione della cosa pubblica».
Cosa l’ha colpita nella reazione delle persone intorno a lei?
«Mi sembrano tutte molto assennate. Il silenzio è calato rapidamente, ci sono italiani che sono partiti ma è comprensibile, fa parte della natura umana. Chi siamo noi per giudicare?».
“Io sono l’amore”, dieci anni fa. Ieri o un’altra era?
«Sembra ieri, ma se ci ripenso in questo frangente io e tutte le persone con cui ho condiviso e condivido il percorso artistico, di cose ne abbiamo fatte parecchie. Se penso al momento in cui l’ho fatto e al me stesso di allora mi pare un’era fa. Si disse che era viscontiano, ma per quanto io ammiri il cinema di Visconti non era e non è il mio modello. Mi faceva più pensare a certe dinamiche del cinema di Fassbinder. È, sì, il racconto di una donna che s’innamora di un giovane uomo e fugge con lui, ma soprattutto è un film sulla caduta dei valori borghesi, del potere maschile. Le ultime riprese le facemmo a Londra il giorno in cui crollò Lehman Brothers, eravamo nella City deserta, un’atmosfera simile a oggi. Il film parla di questo, un travolgimento della vita delle persone attraverso l’imposizione di una legge violenta del capitale».
È un film cucito su Tilda Swinton, la sua attrice di riferimento.
«Poco prima dell’emergenza ero a Londra perché Tilda è stata insignita della Fellowship del British Film Institute. Con lei non è lavoro, è vita, siamo amici, ho scritto il film per lei. Io sono l’amore è l’impresa di un gruppo di amici».
Un bell’exploit per lei dopo una lunga gavetta.
«Ho sempre fatto ciò che amavo, che sapevo di poter fare. Il cinema è una tattica militare, per essere bravi soldati o generali serve una buona conoscenza del campo. Mi fa piacere che il mio lavoro abbia avuto un riconoscimento quando avevo quasi quarant’anni. Come dice il fotografo Fujimoto, per produrre qualcosa di creativo e artistico devi conoscere il mondo. Gli exploit di chi è giovane li mettiamo nella categoria del genio, ma la capacità di visione di chi ha fatto un po’ o molta vita è imparagonabile. Per questo amo il cinema di registi anziani».
Tra le eccezioni il suo "padrino" Bertolucci, che nasceva ieri.
«Bernardo è un’eccezione assoluta, totale. Come lui ce ne sono dieci nella storia del cinema. Aveva vissuto in un sistema familiare e culturale così denso, profondo, ed era così curioso. È stato un uomo libero in maniera radicale, questo ha creato le condizioni per qualcosa di unico e insuperato».
Progetti per il cinema?
«Ho prodotto il film di Ferdinando Cito Filomarino, Born to be murdered con John David Washington (figlio di Denzel, ndr ) e Alicia Vikander, che speriamo di mostrare al mondo in autunno se tutto torna alla normalità. Poi ho quasi finito il progetto cui lavoro da anni, il documentario su Ferragamo, Salvatore il calzolaio dei sogni , storia di un genio italiano e della sua vita tra il Sud Italia e la fondazione di Hollywood, l’autarchia fascista e il modo in cui malgrado le limitazioni riusciva a creare cose meravigliose. Ho tante testimonianze, dai critici di moda a registi come Scorsese che ci spiega cosa significasse, per un sedicenne giunto in nave da Napoli, diventare amico e couturier dei divi di Hollywood».
Il seguito di "Io sono l’amore"?
«Stavo andando in America per incontrare uno sceneggiatore che amo molto, di cui non voglio fare il nome, per parlare della seconda parte. Purtroppo è tutto annullato.
Certo, è un grande piacere lavorare con Timothée Chalamet, Armie Hammer, Michael Stulhbarg, Esther Garrel e gli altri attori. Ci saranno tutti, nel nuovo film».