la Repubblica, 17 marzo 2020
Ode ai polmoni
«Dio ama lo starnuto e detesta lo sbadiglio» diceva Maometto, che morì di polmonite, una malattia che non ti aspetti nel caldo del deserto, a meno che, come nel caso del Profeta, non ci si vada a pregare «quando il freddo – scrive Camus – non avendo più da lottare con il sole, invade la notte; e l’aria gelida brucia i polmoni». Starnuto e sbadiglio si somigliano perché sono come due falle che si aprono, in entrambi i casi con la mano davanti alla bocca o, di questi tempi, soffocandoli nel gomito. E forse Dio ama lo starnuto perché è un esorcismo, la cacciata dei demoni che lo sbadiglio invece accoglie. Al neonato che sbadiglia, nel meridione le donne chiudono la bocca per non fare entrare i diavoli, mentre il tenero Mangiafoco, imbarazzato dalla propria sensibilità, starnutisce per non piangere: «Etcì, etcì etcì. Vieni qua e dammi un bacio». In sintonia con l’epoca, chissà se dello starnuto o dello sbadiglio, un piccolo potente diavolo ci sta aggredendo i polmoni che sono l’organo malato del pianeta Terra. E si sa che il mondo ha i polmoni in Amazzonia, dove Bolsonaro permette che brucino le foreste. E sono polmoni le foreste dell’Australia anch’esse incendiate... L’umanità ha i polmoni già sporcati dal climate change, avvelenati e corrosi dalle polveri nere e sottili, dalle sabbie abbaglianti e dalle ceneri grigie. Ogni epoca ha la sua malattia e il polmone era stato già protagonista nel secolo della tubercolosi che era una pena estenuante e non fulminante. Infatti diede il tempo a Proust, Kafka e Chopin di riempire il mondo di capolavori. Ed era pure considerata romantica: «Ti appartengo – scrisse Kafka a Milena – con questo enorme polverone che 38 anni di vita hanno sollevato e si deposita nei polmoni». Il coronavirus non ha nulla di romantico. È povero e micidiale come una sciocchezza e purtroppo colpisce molto rapidamente l’unico nostro organo interno che comunica direttamente con l’esterno, attraverso naso, bocca e mascherina. Entra con l’aria che nei polmoni deve infatti “penetrare” e li deve pure riempire. Benché gonfi di smog, fumo e acqua, i polmoni sono la macchina del respiro che dà il ritmo alla vita: corto, lungo, mozzo, regolare, affannato, persino solitario e, al contrario, collettivo, se è vero che a «Milano», come canta Lucio Dalla, «tre milioni» di abitanti hanno «il respiro di un polmone solo», che è il polmone dell’economia italiana, un polmone infettato, un polmone malato che si può anche ascoltare come il cuore che origliava Savinio («Ascolto il tuo cuore, città»), ma anche sniffare come un odore, che nella Milano di Savinio era «di legno bruciato esalato dai camini e custodito dalla nebbia» e adesso è l’odore del disinfettante. Savinio lo cercava per «goderne a pieni polmoni». E chissà quanti starnuti. Nel film di Walt Disney, Pinocchio affumica i polmoni della balena che starnutisce e libera in mare lui e Geppetto, il quale, poverino, non sapeva nuotare: «Etcì, etcì, etcì».