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 2020  marzo 17 Martedì calendario

Periscopio

«Per l’Italia è l’ora più buia». «Vale la pena di trascorrerla in fila al supermercato?». Vignetta di Elle Kappa. la Repubblica.
Lo dicono tutti che bisogna essere ottimisti. Guardate l’Europa, spesso così dura con noi, adesso si ammorbidisce e forse si scioglie. Massimo Bucchi. Il Venerdì.

Resta un mistero glorioso della politica l’approdo di Teresa Bellanova dentro il Giglio tragico (copyright Dagospia): bracciante a 14 anni («ci trattavano come bestie»), studi fermi alla terza media, tessera della Cgil, sindacalista di rango, comunista dalemiana e poi bersaniana, deputata dal 2006, prima attacca ferocemente il renzismo e poi vi si accoccola, proprio lei, incurante dell’allegra brigata con Lucio Presta e Flavio Briatore, mentre il tesoriere Francesco Bonifazi se ne sta mezzo nudo con due barboncini bianchi addormentati in petto. Fabrizio Roncone. Corsera. 7.

Nel suo ultimo libro Popolo, potere e profitti il premio Nobel per l’economia, l’americano Joseph Stiglitz, ricorda che oltre la metà degli americani ha meno di mille dollari in banca. Se capita un imprevisto, sei fottuto. E la stessa percentuale di popolazione, pari a 150 milioni di persone, possiede meno ricchezza della somma dei tre principali miliardari (Jeff Bezos, Bill Gates e Warren Buffett). Riccardo Staglianò. Il Venerdì.

Le conclusioni alle quali siamo arrivati con la Fondazione David Hume, usando procedimenti statistici e modelli di simulazione, è che il 14 marzo scorso le persone non diagnosticate in Italia come positive ma in grado di trasmettere il contagio sono almeno 100 mila, circa sette volte i 15 mila soggetti positivi delle cifre ufficiali. È il caso di notare che questa stima è estremamente prudente. Luca Ricolfi. Il Messaggero.

Il momento è difficile per il sindaco di Milano, Sala. Ma anch’io dovetti gestire nove omicidi terroristici in nove giorni nel 1999, le emergenze ambientali legate ai tre depuratori e ai due termovalorizzatori e la rigenerazione urbanistica. Anche Greppi, il sindaco del primo dopoguerra, ha trovato 3,5 milioni di metri quadrati di macerie della guerra, noi 11 milioni del post industriale. Niente di confrontabile, però. Gabriele Albertini, già sindaco di Milano (Alessia Gallione). la Repubblica.

La crisi del coronavirus ci ricorda che uno Stato ci vuole. Che lo Stato, in fondo, siamo noi. Forse i veri ricchi che stanno a Montecarlo, senza contribuire alla loro comunità nazionale, a cominciare dalla salute, dai respiratori degli ospedali, dagli stipendi di medici e infermieri, in questi giorni un poco si vergognano. Ma sarebbe una magra consolazione. Aldo Cazzullo. Corsera.

Alcuni presidenti regionali, come Zaia, ci hanno chiesto di non essere incalzati dalle opposizioni. Mi appello ai nostri consiglieri regionali perché facciamo una moratoria sui conflitti politici. Se il governo chiede unità alle opposizioni in parlamento, quando noi siamo opposizione sui territori non possiamo comportarci diversamente. Francesco Boccia, Pd, ministro per i rapporti con le Regioni. (Monica Guerzoni). Corsera.

Cossiga, ma anche (e costoro in modo molto discutibile) Scalfaro e Napolitano, in tempeste meno turbinose di questa, hanno plasmato compagini governative e trasmesso loro direttive in grado di reggere i marosi della storia. Mattarella invece ha preferito non intervenire. Ci auguriamo che convochi le forze di maggioranza e di opposizione, esamini una via di uscita che non umili nessuno, metta davanti i leader politici alle necessità indifferibili che impongono un tragitto unitario, con una personalità di alta autorità e competenza, che assembli una squadra che li coinvolga nel pieno rispetto dei canoni democratici e repubblicani di salvezza della nazione. Renato Farina. Libero.

Le mie bambine mi vengono ancora incontro quando torno a casa dall’ospedale dopo il turno di otto ore, ma non ci abbracciamo più come una volta. Accarezzo loro la testa, stando in piedi, e loro mi abbracciano le gambe. Rino Russotto, operatore socio sanitario all’ospedale di Fiorenzuola nei giorni del coronavirus. Libertà.

Il clima generale di oggi è agghiacciante. Troppa volgarità, troppa prepotenza, troppa cattiveria. Troppe bocche che parlano e poche menti che pensano. Questo, a dire il vero, lo scriveva Victor Hugo ne I Miserabili, ma è molto attuale. Francesco Guccini, cantautore e scrittore (Gianni Mura). Il Venerdì.

Sulle Alpi e nelle cascine isolate in pianura, dove quietamente si accetta quel che viene, la quarantena non esiste perché ci si entra quando si nasce e non se ne esce più. Giampaolo Visetti. La Repubblica.

Passo il tempo in cui sono costretta in casa dal virus, correggendo le poesie del mio ultimo libro anche se è già stampato. È più forte di me. Vivian Lamarque. Corsera.

Sono nato a Milano, in via Volturno, come Berlusconi: lui, però, prima di me e, ironia della sorte, proprio davanti alla sede del partito comunista. Enrico Bertolino, attore e conduttore. Corsera.

Puskin è stato il primo scrittore a usare il russo per scrivere un romanzo: Eugenio Onegin. La classe colta, prima di lui, usava il francese. In russo non sapeva scrivere. Paolo Nori, scrittore specializzato in letteratura russa (Giulia Villoresi). Il Venerdì.

L’inglesina Judy Faggotty era capace di nuotare in mare «come un pesce», mentre tutte le altre signorine palermitane si bagnano solo fino alle ginocchia e in camicia e, tenendosi per mano tutte insieme, nel settore bene della spiaggia di Mondello, perché tutte sanno che immergere gli organi femminili fa molto male alla salute e alla razza. Alberto Arbasino, Specchio delle mie brame. Adelphi, 1995.

«Italia proletaria e fascista... in piedi!», riurla il Duce; ed Ettore Petrolini esala con un lazzo, sul suo letto di morte, la sua ultima battuta: «Che vergogna morire a cinquant’anni!». Franco Monicelli, Il tempo dei buoni amici. Bompiani, 1975.

In uno dei rari momenti di tregua, nei quali mi sentivo come prima o pensavo a un’altra cosa, bruscamente l’immagine di questa donna che mi aveva rubato il mio uomo mi attraversava. Avevo l’impressione che non era il mio cervello che produceva questa immagine, ma lei che faceva irruzione dall’esterno. Si sarebbe potuto dire che questa donna entrava e usciva dalla mia testa a suo modo. Annie Ernaux, L’occupation. Gallimard, 2002.

Philippe Clay era un invitato abituale della trasmissione tv Grosses Têtes, sempre così magro, così eccitato, così imprevedibile. Lo avevo perso di vita da un certo periodo di tempo quando una mattina sentii la sua voce al telefono: «Il mio medico mi ha detto che morirò questa sera. Siccome tu sei il mio più vecchio amico, sono venuto a dirti addio». Il giorno dopo, non era più. Philippe Bouvard, Je crois me souvenir... Flammarion, 2013.