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 2020  marzo 16 Lunedì calendario

Ipotesi sul perché in Italia si muore tanto

Immaginate esistano due paesi: uno si chiama A, l’altro B. In A, quasi tutte le interazioni sociali avvengono tra gruppi isolati di persone: la popolazione lavorativamente attiva da una parte, quella più anziana e in pensione dall’altra.
In B, invece, le interazioni sociali tra generazioni sono più frequenti: i giovani vivono insieme agli anziani, oppure gli anziani vivono separatamente, ma comunque in stretto contatto con i giovani, per esempio per aiutarli con i figli piccoli negli orari lavorativi.
Se una malattia interessa tutte le fasce di età della popolazione, ma è più letale per gli anziani, il paese B può finire nei guai, perché i giovani infetti con sintomi lievi possono comunque trasmettere la malattia alle persone anziane con cui stanno in maggiore contatto. Qualcosa di analogo sta accadendo con il coronavirus e questo potrebbe spiegare, insieme a diversi altri fattori, perché in Italia la percentuale di decessi tra i casi rilevati (tasso di letalità) di COVID-19 sia al 7,2 per cento, un dato piuttosto alto se confrontato con quello globale stimato tra l’1 e il 5 per cento. 
Moritz Kuhn, un docente di economia presso l’Università di Bonn (Germania), si è messo a confrontare le percentuali delle persone tra i 30 e i 49 anni che in vari paesi vivono insieme ai genitori. Il dato varia da paese a paese, ed è al di sopra del 20 per cento in posti come Italia, Cina, Giappone e Singapore. Tutti paesi che assomigliano al caso B e che possono essere usati, con un po’ di approssimazione, per mettere a confronto i livelli di interazione sociale tra le generazioni con il tasso di letalità registrato. 
L’ipotesi di Kuhn è circolata tra gli analisti e gli epidemiologi che stanno provando a capire le caratteristiche di questa epidemia, ma naturalmente da sola non può rispondere alla domanda sulla letalità più alta in Italia. Riassumendo molto possiamo dire che c’entrano l’età media della popolazione italiana più alta di altri paesi e il modo in cui sono stati finora eseguiti i test di laboratorio: relativamente pochi e quasi sempre sui certamente malati. Il numero di persone infette è quindi sicuramente superiore a quello comunicato ogni giorno dalla Protezione Civile, e di conseguenza si può immaginare che la letalità sarebbe nel complesso più bassa se fossero eseguiti più test, perché aumenterebbe il numero di casi positivi rilevati rispetto ai decessi.
Questo naturalmente non significa che dovremo cambiare drasticamente il nostro modo di rimanere in contatto con genitori, zii e nonni a seconda dei casi. Gli studi epidemiologici dovrebbero servire in primo luogo ai governi, per fare scelte informate nella gestione di un’emergenza come l’attuale, per esempio decidendo di isolare i malati altrove rispetto alle abitazioni in cui vivono, proprio per evitare ulteriori contagi (magari verso persone più a rischio).