la Repubblica, 16 marzo 2020
Ci servono 90 milioni di mascherine al mese
Che siano carta igienica o panni per spolverare, le mascherine girate all’assessore Giulio Gallera l’altro ieri sono sicuramente prodotte all’estero. Made in Italy, praticamente, non ne esistono. Come le “materie prime”, che l’Italia deve importare dalla Rivoluzione industriale in poi, ai tempi del Covid-19 abbiamo scoperto un nuovo vulnus industriale: le aziende nazionali di “dispositivi protettivi” hanno una potenza produttiva davvero limitata o hanno smesso di occuparsi del settore perché tanto poi la centrale d’acquisto pubblica, la Consip, compra a ribassi di venti volte e le stesse aziende vanno a bagno.
In questo momento di panico, ed egoismo, mondiale non riusciamo neppure più a importare mascherine (e guanti in lattice e occhiali medici e tute e calzari di protezione). Come spiega il commissario Angelo Borrelli, l’Italia oggi ha un fabbisogno di 90 milioni di mascherine il mese, divise tra quelle con il filtro – Ffp1 e Ffp2 – e quelle chirurgiche a garza rinforzata. Significa che dall’inizio della crisi epidemiologica, sei settimane fa, ospedali, farmacie, volontari avrebbero dovuto riceverne 135 milioni. Per ora la Protezione civile ne ha consegnate ai presidi medici, invece, 5 milioni, di cui tre schermate. Altri 2 milioni saranno consegnati domani. Sì, ha fatto ordini globali per 56 milioni di pezzi prenotando anche quello che ancora non è stato prodotto, ma 19 milioni di mascherine sono state poi bloccate. In India, in Turchia, in Russia, in Romania, dalla stessa Germania: i rispettivi governi hanno visto crescere il contagio a casa loro e deciso di tutelarsi.Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha tuonato al solito: «Inaccettabile, denunciamo chi blocca i dispositivi alle dogane». La verità è che noi, un po’ come avevamo già fatto con lo stop agli aerei dalla Cina, ci siamo mossi prima di tutti. Dal 3 marzo scorso ogni stock di mascherine che passa per il Paese – le ultime erano sudafricane – è stato requisito dalla Protezione civile. L’Agenzia doganale il 5 e il 10 marzo ha bloccato alla frontiera, erano in uscita, due Tir carichi di 800 mila guanti monouso in vinile, 40 mila in lattice e 120 mascherine con valvola. È stato girato tutto alla sanità lombarda.
Ogni Stato e ogni governo, al crescer dell’allarme interno ed esterno, si è regolato allo stesso modo: produzione e commercio autarchici, le mascherine si fanno e si consegnano all’interno dei propri confini.
Il premier Giuseppe Conte ha voluto rassicurare la Lombardia: «Siamo strenuamente impegnati per procurare in tempi brevissimi i dispositivi di protezione». Di Maio ha assicurato a ruota che alcuni canali commercial- solidali si stanno riaprendo: la Germania ha consentito l’arrivo di un milione di pezzi e la Francia ha dato disponibilità. La Cina poi, che da tempo ha ammorbidito le relazioni con l’Italia, ce ne sta spedendo cinque milioni. Ma per evitare un altro scontro tutto interno al continente è dovuta intervenire la presidente della commissione Ursula Von der Leyen, tedesca. In un video su Twitter ha detto: «Oggi abbiamo adottato un sistema di autorizzazione all’esportazione per queste attrezzature mediche, le vendite al di fuori dell’Unione europea devono essere autorizzate dai governi della stessa Ue». Prima l’Europa, ha dovuto ribadire la presidente.
Ogni regione italiana, come succede da inizio crisi un po’ su tutto, si è mossa per conto proprio: la Toscana ha realizzato in casa mascherine a triplo strato, la Liguria si è affidata agli spedizionieri del porto, il sindaco di Milano ai suoi rapporti personali con le municipalità cinesi. In Italia, però, le mascherine continuano a scarseggiare, e questo dura dal 29 gennaio. Il sindaco di Bergamo, Giorgio Gori, lancia l’allarme: «Abbiamo bisogno di mascherine in poche ore». E Borrelli: «Ne stiamo consegnando due milionoi al Paese». Nel Decreto Economia l’esecutivo ha previsto la possibilità di far nascere nuove aziende produttrici o convertire reparti esistenti alla fattura dei dispositivi. In Cina, in tre mesi, il settimo costruttore di automobili si è trasformato nella prima fabbrica di mascherine al mondo. Da noi ci prova il Gruppo Gvs di Bologna. Per il periodo dell’emergenza, poi, si potrà produrre “in deroga” alle leggi vigenti: oggi c’è solo un’azienda italiana con la certificazione internazionale.