Il Messaggero, 15 marzo 2020
Cento anni dalla nascita di Tonino Guerra
Se l’avesse saputo, Tonino Guerra – nato il 16 marzo 1920 a Santarcangelo di Romagna, dove è morto il 21 marzo 2012 – che il centenario della sua nascita sarebbe stato funestato da un’atmosfera distopica non si sarebbe scomposto più di tanto. Lui, nato da famiglia contadina e scampato al campo di concentramento nazista a Troisdorf scrivendo e declamando versi per altri internati romagnoli. Lui, scampato a un tumore al cervello con una rocambolesca quanto fortunata diagnosi e una repentina operazione a Mosca. Lui, che aveva lasciato la Romagna per Roma a seguito di una carriera straordinaria da sceneggiatore – per film premiati dall’Oscar come Amarcord di Fellini e quasi tutti quelli di Antonioni, con il quale sfiorerà l’Oscar per la sceneggiatura con la nomination per Blow-Up – per ritornare di nuovo nelle sue terre cercando «l’infanzia del mondo», aveva a cuore questo Pianeta a cui rivolgeva e augurava parole universali che fossero per l’umanità, così da creare un grande «sogno collettivo». Il suo centenario sarà barricato in casa tra annulli filatelici e inaugurazioni a porte chiuse o mostre virtuali che spaziano nel tributo alla sua opera multiforme: racconti e poesie la brevità è la misura ideale della sua scrittura, romanzi, poesie, pastelli ad olio e fontane progettate e realizzate in tutta la Valmarecchia.
PROFETICO
C’è un che di profetico e responsabilizzante nello stop di questi giorni, nel restare a casa con il peso di decisioni e programmi. Persino l’assenza del suo amico Luis Sepúlveda – presidente onorario dell’Associazione Tonino Guerra, atteso all’apertura degli eventi – anche lui contagiato dal coronavirus, ha un che di sinistro ma nodale. E allora forse mai come in questo caso non c’è che ritornare alle parole di Guerra. Intanto ai suoi versi in dialetto romagnolo finiti in tutte le antologie e amati da Pasolini e, raccontano gli aneddoti, da Mao. Ricordare il finale di E la nave va come fa la sua seconda moglie russa, Eleonora Kriendlina, con Guerra dal 1975 alla morte, nella loro Casa dei Mandorli di Pennabilli, dove riposano le ceneri di Tonino incastonate nella roccia appena sopra l’edificio. «Queste giornate che stiamo vivendo sottolinea sembrano tratte da quelle scene lì. È come se tutti continuassero a cantare mentre la nave affonda».
Anche in Russia seconda patria del poeta romagnolo il centenario si annuncia ricco di eventi: una mostra a Vladimir di sessanta opere di Tonino Guerra e diversi eventi sui canali culturali della tv russa. A giugno si prevede la realizzazione, poi, di due fontane dai suoi disegni nell’Orto Botanico di Mosca. Mentre il progetto con Carlin Petrini, di un festival dedicato ai frutti dimenticati si annuncia a settembre insieme al Premio e altri eventi slittati. Nel frattempo, l’opera omnia che Bompiani sta sistematizzando in edizione cofanetto per la cura di Luca Cesari, si arricchirà presto dei volumi dedicati alle sceneggiature (anche per Anghelopoulos, Tarkovskij, Wenders, Monicelli, Rosi e molti altri) con sorprese e scoperte a cui poi seguiranno i diari.
Ma è nel sodalizio amicale con Fellini («siamo amici fitti fitti» come scriveva FF), durato tutta una vita, già prima di Amarcord, che vanno cercati i temi essenziali della storia di Guerra: il ricordo dell’infanzia comune, l’infanzia di tutti gli italiani in quello spazio della mente che è stato il loro film di ricordi. Tonino lo raccontava come una grande sinfonia «dove tutti gli strumenti entrano al momento giusto». Il merito lo attribuiva all’amico regista «io ho dato degli spunti ma il film è di Federico, è lui che ha inventato tutto, pure il mare di plastica». Giuliano Geleng, bozzettista per Amarcord e tanti altri film di Fellini, che purtroppo qualche giorno fa improvvisamente ci ha lasciato, raccontava di recente: «Ricordo che, mentre lavoravamo ad Amarcord, ci vedemmo tutti e tre in Romagna a casa di Guerra, a Santarcangelo. Federico e Tonino stavano da una parte a ricordare cose dell’infanzia. Io mi sentii in imbarazzo e mi allontanai».
DIROMPENTE
Fu un film scritto in solo nove mattine, un parto senza doglie, naturale e dirompente come nei miti e fu un grande successo di pubblico, anche se non come La Dolce Vita. Raccontava la loro infanzia come l’infanzia di un’Italia intera entrata con ingenuità nel fascismo. L’infanzia dei loro ricordi: il mare riminese che poi i due cercavano a Ostia in scorribande («nella macchina verde di Federico», raccontava Guerra) verso quella spiaggia così evocativa nella somiglianza. La vita li lasciò sempre vicini anche quando la crisi del cinema fece dire a Fellini «Tonino, ma ti rendi conto che siamo rimasti soli a progettare aerei mentre non esistono più aeroporti». Quindi, per chi ricordasse Tonino Guerra solo per lo slogan pubblicitario «l’ottimismo è il profumo della vita», vale la pena aggiungere, come fa Lora Guerra: «L’ottimismo è il fiore che cresce sul pessimismo». Per chi lo ritenesse, infine, un autore secondario vale la pena ricordare le sue parole: «Io sarò utile dopo, quando l’umanità avrà voglia di favole e l’infanzia riacquisterà la fantasia tolta da internet».