ItaliaOggi, 14 marzo 2020
Periscopio
Dopo Facebook, Google e Amazon, Netflix è l’azienda che ci conosce meglio. Riccardo Staglianò. il Venerdì.
Vespa ha sempre la rilevanza di un tempo, cioè la Terza Camera. Oggi se il Papa è Mattarella, Vespa è il Camerlengo. Paolo Del Debbio (Antonio Di Pollina). il Venerdì.
Milano è efficiente e chiacchierona. Questa la sua indole, la sua forza, la sua croce. Non so se sia la metropoli più contagiata da Coronavirus d’Europa, ma è certamente quella dove si sono fatti, e si sono resi pubblici, più controlli. Una situazione che ricorda i tempi di Tangentopoli, quando Milano passò per la capitale della corruzione, mentre era solo il posto in cui si cercavano (e si raccontavano) meglio i corrotti. Massimo Gramellini. Corsera.
Io lavoro tanto, ma vado anche in palestra, mangio bene e leggo. Anzi prima un po’ di più, ora guardo molte serie tv, come tanti. La mia vita a Milano è bella e serena. Massimo Giorgetti, stilista di Msgm. Corsera.
Meglio per l’M5S con Dibba al comando cambiare gioco, anzi tornare a giocare nel giardino d’infanzia dei Bei Sogni, famo la Rivoluzione. Torna Er Che de Persia, versione revolutión-romanesca dello Scià, o versione esotico-amatriciana del Guevara. Lui ci spiegherà che il coronavirus è un Complotto inventato dal Sistema per danneggiare i 5Stelle e tutti i rivoluzionari del mondo. E tenere la gente a casa per evitare che faccia la Rivoluzione. Marcello Veneziani. Panorama.
Quando l’epidemia sarà finita (e ce ne vorrà) il disamore per l’Ue avrà fatto un enorme passo avanti. L’incapacità di fornire indicazioni in questa emergenza collettiva sarà la condanna dell’Unione. Il banco di prova è inappellabile. O Bruxelles va oltre il burocratismo molesto che la allontana dai cuori della gente e si intesta la vittoria sull’epidemia. O finirà nel lazzaretto dei lungodegenti, fino alla morte per consunzione. Giancarlo Perna. la Verità.
Gesù mi piace, da sempre. A parte la mania di sentirsi il figlio di Dio, è disponibile, umano, fa perfino qualche miracolo. Quando disse: gli uomini sono tutti uguali, inventò il socialismo. Poi qualche secolo dopo arrivò Marx che aggiunse: uguali va bene, ma non basta, unitevi! Sergio Staino, disegnatore satirico, creatore di Bobo (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Ho seguito 39 Festival di Sanremo. Il primo fu nel 1981. Vinse Alice con Per Elisa. Musiche di Franco Battiato e Giusto Pio. Il festival era molto diverso. Nella seconda parte degli anni settanta la Rai trasmetteva soltanto l’ultima serata. Vincenzo Mollica (Concetto Vecchio). il Venerdì.
Noi restiamo con i piedi per terra, torneremo a Roma e scriveremo il terzo film. Non ci interessa l’epica del coatto, cambieremo genere ogni volta, e non vogliamo diventare i registi con la sciarpa. Essere cresciuti in periferia è un vantaggio, cresci prima. Fratelli D’Innocenzo, premiati come migliori sceneggiatori alla Berlinale per il film Favolacce. (Valerio Cappelli). Corsera.
Mio marito è Alessandro Feroldi, giornalista. Da giovane dava lezioni di latino, greco e musica ai figli dei nobili, dai Colonna agli Orsini. Intervistò per primo Fabrizio De André, conquistandolo con una telefonata: «Scusi, perché nel Testamento di Tito in quel si bemolle non mette la settima diminuita?». A Faber si aprì il cuore: «Vieni e porta la chitarra». Il colloquio durò un giorno. Credo che Alessandro fosse l’unico assunto al Tg1 grazie a una lettera inviata al direttore. Albino Longhi lo convocò: «Voglio vederti in faccia». Francesca Calissoni, stilista. (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Sui social spesso e volentieri la trasmissione tv di Signorini rivendica con orgoglio il suo carattere diavolesco, celebrandosi solennemente: «Diabolico Grande Fratello». Che sarà certo un modo di dire, figurarsi, ma nella teologia del format si sposa con altre lacrime, litigate, abbandoni, mortificazioni, rabbia, cedimenti, tentazioni, oscenità, musiche sinistre e visioni di fiamme. Se non è Satana, insomma, è Teleinferno. Filippo Ceccarelli. il Venerdì.
Stiamo vivendo un’infodemia (come è stata acutamente definita), cioè un’epidemia dell’informazione che risulta non meno pericolosa del virus stesso. Ma per darci un po’ di prospettiva storica, e anche per non parlare sempre e solo di coronavirus, faccio un salto all’indietro di un secolo e racconto la storia di un’altra epidemia, quella dell’influenza spagnola del 1918-1920, la prima pandemia dell’era contemporanea. L’archetipo di quelle che seguiranno (l’Asiatica del 1957, la Hong Kong del 1968, la Russa del 1977, poi la Sars e la Suina), quando il mondo fece la conoscenza di queste piccole apocalissi virali e batteriologiche. Maurizio Pilotti. Libertà.
Cosa significa essere rimasto ultimo di tanti? Significa non avere più interlocutori, non avere più coetanei attorno: è una forma di solitudine incredibile. Tra gli amici di allora è rimasto solo l’avvocato Franzo Grande Stevens. Bruno Segre, 101 anni, avvocato di Torino, nessuna parentela con Liliana Segre. (Maurizio Crosetti). il Venerdì.
Chi ha ucciso Life ed Epoca? Life non so. Quella di Epoca fu un’eutanasia decisa in un vertice dalle parti di via Montenapoleone. Me lo confessò un presidente della Mondadori. Avevamo raggiunto una tale qualità che le altre testate, per inseguirci, dovevano spendere cifre folli. E infatti oggi i giornali rigurgitano di foto orribili pagate 5 euro. Giorgio Lotti, già fotografo di Epoca, 82 anni (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Ricordo il Grande Torino. Ero e sono molto tifosa del Toro. Quand’ero ragazza la Juve non toccava palla: un periodo meraviglioso. Quando il Toro è morto fu un dolore terribile per tutti. Ero amica di Renato Casalbore, il fondatore di Tuttosport, anche lui caduto con la squadra a Superga. Andavo al Filadelfia a vedere la partita. La prima volta portavo un cappello con delle ciliegie: nella ressa qualcuno me lo fece volare via. Ora che ci ripenso, non aveva torto perché andare al Filadelfia portando un cappello con delle ciliegie era francamente una sciocchezza. Marida Recchi, 102 anni (Aldo Cazzullo). Corsera.
Si intravedeva una porzione del braccio gallonato che gli teneva aperta la porta. Camminava a passettini rapidi e rigidi sotto la tenda, sul marciapiede, fino a una Audi. Davanti c’era un autista. Sul finestrino posteriore un numero (il 271) e quindi si trattava di un’auto a nolo. E ora il portiere corse fuori dalla porta e il giovanotto si fermò perché il portiere potesse arrivare prima di lui ad aprirgli la porta posteriore della berlina. Tom Wolfe, Il falò delle vanità. Mondadori, 1988.
Ciò che più mi piace in una donna è la calcolata remissività. Roberto Gervaso. il Giornale.