la Repubblica, 14 marzo 2020
La teoria del gregge del governo britannico
È un azzardo. Per molti pericoloso, incosciente, nell’era coronavirus. Ma ora è ufficiale, dopo settimane di reticenze, semplici inviti a lavarsi le mani e keep calm and carry on, “state calmi e andiamo avanti”. Perché ieri mattina, Sir Patrick Vallance, massimo consigliere scientifico del premier Boris Johnson, l’ha detto a Sky News : «Il 60% dei britannici avrà bisogno di contrarre il coronavirus per sviluppare l’immunità di gregge. Perché il virus sarà stagionale e tornerebbe in inverno. Sì, è una brutta malattia. Ma nella maggioranza dei casi comporta solo sintomi lievi».
Una gaffe? No. In una successiva intervista alla Bbc, Vallance è andato oltre: «Se cerchi di sopprimerlo con misure molto dure e poi allenti la presa, il virus reagisce, magari in un momento sbagliato. Il nostro obiettivo è creare una sorta di immunità di gregge contro la trasmissione del virus a lungo termine, proteggendo i più vulnerabili». Anche perché un vaccino contro il Covid- 19 ancora non c’è, servirà almeno un anno e l’Oms ieri ha ammesso che si è in alto mare causa «mancanza di fondi». Ma la strategia estrema del governo Johnson potrebbe provocare la morte di centinaia di migliaia di persone. I britannici sono 67 milioni, il 60% circa 40 milioni. Con un tasso di mortalità (al ribasso) dell’1%, questa “scommessa” potrebbe avere un “costo” iniziale di 400mila morti. La sanità rischia di collassare. Inoltre, il Covid-19 pare un virus mutevole e non c’è ancora la certezza assoluta che si ottenga l’immunità da guariti.
Ma giovedì Johnson l’aveva accennato in conferenza stampa: «Purtroppo moriranno molti nostri cari». Eppure il premier è ancora contrario a ogni misura draconiana per contenere il virus, che a oggi in Regno Unito ha contagiato “solo” 708 persone su 32.771 testate, anche se i malati “nascosti” sarebbero 10mila. Le scuole restano aperte, pub e ristoranti sono stracolmi, il concertone di Glastonbury è stato confermato e per il governo pure il calcio sarebbe andato avanti – a porte aperte – se solo la Premier League ieri non si fosse opposta dopo vari contagi di giocatori e allenatori.
Un approccio che sta spaventando anche i 700mila della comunità italiana oltremanica, nella morsa emotiva di una patria “chiusa a chiave” e un Regno Unito passivo contro il contagio: genitori preoccupati per i figli in classe, centinaia di turisti bloccati dallo stop ai voli, permesso di chiamare il numero speciale anti-virus solo se si hanno sintomi gravi. Altrimenti, lo ha detto Johnson stesso, restate in casa per una settimana senza assistenza. E però ieri il premier è stato comunque costretto a rinviare le elezioni locali di maggio, la maratona di Londra, mentre alcune università, come la London School of Economics, già si autogestiscono con corsi online. Anche la Regina ha cancellato i suoi appuntamenti.
Ma il vero problema di Johnson è un altro. Sperando che il caldo limiti il Coronavirus, il premier non vuole bloccare il Paese allo scopo di preservare l’economia. Un azzardo che già l’Italia ha pagato a carissimo prezzo. La sola chiusura delle scuole costerebbe al Regno Unito il 3% di Pil, sussurrava ieri un sottosegretario. Figuriamoci uno stop totale all’italiana. Boris non può permetterselo nell’anno decisivo della Brexit. Perché, dopo infinite promesse, ora si gioca tutto: la carriera e il futuro del Regno Unito. In queste condizioni, il coronavirus potrebbe tornare in inverno, proprio nei mesi in cui si concretizzerà la Brexit, nel 2021. Ecco perché in molti, a Downing Street, si stanno convincendo sull’immunità di gregge preventiva. A ogni costo.