il Fatto Quotidiano, 14 marzo 2020
La Gazzetta del Mezzogiorno di Bari sta per chiudere
“Ha pesato il fatto che non esistono mezzi di informazione insediati nel Mezzogiorno che abbiano una voce rilevante nel dibattito nazionale”
(da “Mezzogiorno a tradimento”
di Gianfranco Viesti – Laterza,
2009 – pag. 171)
Mentre l’epidemia di coronavirus mette l’Italia sottosopra, spingendo più di 40mila “terroni” a tornare a casa e alimentando così un esodo alla rovescia, uno dei più antichi e importanti quotidiani del Sud rischia la chiusura. Con tutto il rispetto per gli altri giornali meridionali, La Gazzetta del Mezzogiorno di Bari – fondata nel 1887 con la testata Corriere delle Puglie e diventata poi nel 1922 La Gazzetta di Puglia – vanta 133 anni di storia ed è l’unico quotidiano interregionale del Mezzogiorno, diffuso in Puglia e Basilicata. Un “pilastro di democrazia”, come l’ha definito il governatore Michele Emiliano. Se la Gazzetta malauguratamente fosse costretta a sospendere le pubblicazioni, dunque, i pugliesi e i lucani perderebbero un pezzo della propria identità e della propria cultura.
Già di proprietà del Banco di Napoli, passato poi nelle mani dell’industriale barese Stefano Romanazzi, il giornale fu rilevato nel 2001 dall’editore siciliano Mario Ciancio. Ma ora, a distanza di vent’anni, la Gazzetta rischia di rimanere coinvolta indirettamente in una controversa vicenda giudiziaria che ha portato Ciancio sotto accusa per concorso esterno in associazione mafiosa, con il sequestro di tutte le sue società disposto dal Tribunale di Catania in attesa di una confisca. Da qui, l’affidamento della gestione ai commissari liquidatori e l’apertura di un concordato fallimentare.
A questo punto entra in gioco Valter Mainetti, immobiliarista romano, che possiede già la società proprietaria della testata Il Foglio ed è socio di minoranza nella Gazzetta del Mezzogiorno. Mainetti manifesta il proprio interesse ad acquisire il controllo del quotidiano barese e a sottoscrivere il concordato. Fatto sta che la crisi della Banca popolare di Bari, con cui l’imprenditore e la stessa società editrice della Gazzetta sono fortemente indebitati, fa saltare l’operazione e induce l’interessato a ritirarsi.
Ma il dietrofront non può non provocare la reazione dei giornalisti: “L’editore Mainetti ha mollato la Gazzetta, ci smentisca con i fatti se vuole salvarla”, s’intitolava un articolo pubblicato il 7 marzo scorso a firma del Comitato di redazione. E più avanti, si legge: “Il concordato che Mainetti non è in grado di sostenere può essere assunto da qualunque altro imprenditore, in autonomia o in cordata, che si proponga al Tribunale di Catania con un partner finanziario che offra garanzie per 12/14 milioni di euro”.
È, nello stesso tempo, un grido d’allarme e una richiesta di aiuto, rivolta in particolare alla classe imprenditoriale, ma anche all’intera opinione pubblica delle due regioni. Più di qualsiasi altro quotidiano meridionale, per la sua storia e il suo radicamento territoriale, La Gazzetta del Mezzogiorno può esprimere quella “voce rilevante nel dibattito nazionale” di cui lamenta l’assenza il professor Viesti nella citazione iniziale del suo saggio, per spiegare la scarsa attenzione alle politiche di sviluppo del Sud. E oggi, tanto più in piena epidemia da coronavirus, il Mezzogiorno rischia di essere ridotto all’isolamento e all’emarginazione.
Eppure, le otto regioni meridionali – isole comprese – costituiscono il 40% del territorio nazionale e rappresentano più di un terzo della popolazione. Ma, come recita il titolo di un libro scritto da Carlo Trigilia, “non c’è Nord senza Sud”. E quando sarà finita l’emergenza sanitaria, è proprio dal Mezzogiorno che dovrà ripartire il Paese.