La Stampa, 14 marzo 2020
Una mostra sulla storia della borsa
Quella di Margaret Thatcher fu un caso politico e ispirò pure una parola nuova: handbagging, che sta per zittire, criticare qualcuno. L’Iron Lady usava consapevolmente la sua borsa come un’arma e il segnale era chiaro a tutti. Quando l’appoggiava sul tavolo, la discussione era chiusa.
Questo per capire quanto la borsetta non si possa liquidare come un banale accessorio di frivolezza femminile, anzi. Ce lo spiega Lucia Savi, trentenne italiana curatrice di Bags: Inside Out, mostra definitiva sull’argomento che aprirà al V&A di Londra il 25 aprile (e fino a gennaio 2021, sponsorizzata dal brand britannico Mulberry): oltre 300 pezzi esposti che vanno dal XVI secolo a oggi, tra cui la mitica Asprey grigia della Thatcher sopra citata. Gli oggetti non sono presentati in ordine cronologico, ma tematico e soprattuto cross culture, per stimolare così idee e riflessioni. «Abbiamo pregiudizi sulle borse. Ma poi le usiamo tutti, donne e uomini. La vita è cambiata. Stiamo sempre più fuori casa e abbiamo bisogno di portarci dietro il computer o magari lo zaino con il cambio per la palestra», dice Savi, sottolineando come l’accessoria sia ormai un vezzo anche maschile. «Proprio per questo motivo ho voluto includere nella mostra anche moltissimi pezzi appartenuti a uomini. Non dimentichiamoci che la parola handbag è inizialmente associata ai borsoni da viaggio, poi miniaturizzati e diventati femminili».
Così vediamo esposti la valigetta rossa per dispacci di Winston Churchill e anche la sacchetta decoratain cui Elisabetta I custodiva il suo sigillo e che veniva abitualmente indossata dal suo funzionario valletto. «Le borse hanno una doppia natura: sono contemporaneamente molto private, perché trasportato oggetti personali, ma anche molto pubbliche, perché sono esibite sul corpo. Quando esci di casa decidi cosa vuoi portare con te: quelle scelte ti definiscono. Così le borse non hanno solo una funzione pratica, ma anche significati simbolici».
Ogni epoca un design
La prima sessione di Bags: Inside Out indaga come e perché le usiamo e le conseguenze che la trasformazione della società nelle varie epoche ha avuto sul design. Interessante per esempio scoprire il rapporto tra questi accessori e l’evoluzione dei mezzi di trasporto: dai 20 bauli dei viaggiatori dei transatlantici di prima classe si passa a quelli minimal imposti dalle cappelliere all’aereo.
Ma è la sezione dedicata alle bags status symbol quella che farà sognare. Qui ci sono i modelli più iconici: dalla baguette Fendi indossata da Sarah Jessica Parker in Sex and the City alla prima Birkin, disegnata nel 1984 dal presidente di Hermès, Jean-Louis Dumas, per l’attrice Jane Birkin. Tirando dritti alla stagione delle it bags con il modello di Louis Vuitton, progettato da Marc Jacobs e realizzato in vinile riflettente dorato, reso popolare da Paris Hilton e Kim Kardashian nei primi anni 2000.
«Quando negli Anni 90 nascono le celebrity bags che gli stilisti dedicano alle loro muse, le borse smettono di essere solo funzionali e diventano oggetti di culto. Comunicano qualcosa che va ben oltre il loro scopo. Del resto la superficie della borsa è stata spesso un mezzo esplicito per lanciare messaggi importanti. Penso all’esemplare prodotto nel 1825 dalla Female Society per Birmingham per sensibilizzare sul problema della schiavitù così come alla più recente I Am Not A Plastic Bag di Anya Hindmarch», aggiunge Savi.
L’esposizione non trascura la fabbricazione vera e propria. «Dallo schizzo iniziale del prototipo al prodotto finale, ripercorriamo tutto il progetto creativo e artigianale». Sottolineando design e funzione: Anche le più stravaganti hanno sempre almeno una tasca, un qualcosa per contenere che le definisce come oggetti». E in quest’ottica molto sperimentale nascono le collaborazioni tra fashion designers, artisti e architetti che hanno portato a collezioni innovative, spesso a edizione limitata, come la borsa di nylon firmata Prada reinventata dall’architetto giapponese Kazuyo Sejima, la collaborazione di Valextra con Bethan Laura Wood e la valigia International Woman di Tracey Emin per Longchamp.
Senza dimenticarsi di guardare avanti, al futuro, che è soprattutto quello degli stilisti impegnati nella ricerca di materiali innovativi ed eco-sostenibili. Due esempi tra tutti: Stella McCartney con il suo zaino ricavato dal riciclaggio di rifiuti di plastica ripescati nell’oceano ed Elvis & Kresse che riutilizza manichette anti-incendio dismesse. Così la borsa diventa anche etica, oltre che bene rifugio. Certi modelli sono un vero e proprio affare, come ribadito da Nicolas Orlowski (presidente del gruppo Artcurial, di cui fa parte Collector Square leader nella vendita di borse vintage in Europa) a Le Figaro: «Diversi studi indicano che si tratta di un investimento anche più redditizio di un appartamento». Ottima risposta da sfoderare quando vi verrà fatto presente che l’oggetto del vostro desiderio costa più di una bicicletta.