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 2020  marzo 14 Sabato calendario

Zavattini e De Sica

Cesare Zavattini è stato l’anima del cinema italiano del dopoguerra e la sua collaborazione con Vittorio De Sica ha prodotto capolavori come Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D. Soggettista e sceneggiatore, aveva una visione fanciullesca e nello stesso tempo disincantata della vita. Del gioco del calcio, ad esempio, diceva: «Dategli 22 palloni, così la smettono di litigare». La nipote Silvia Zavattini, autrice televisiva, e il critico cinematografico Steve Della Casa gli hanno dedicato un libro, Zavattini a Roma, di padre in padre (Castelvecchi) nel quale Silvia rievoca la vita a casa di nonno «Za» durante la guerra, così come gliela raccontava suo padre, Marco. Ne emergono piccoli episodi fulminanti, aneddoti, battute di spirito, rapporti con i grandi registi e personaggi dell’epoca che vale la pena di scorrere.
Quando Christian De Sica era un ragazzo, gli domandò: «Za, che libri devo leggere?» «Uno solo, il Capitale». Fu Vittorio De Sica a sceglierlo come inquilino dell’appartamento sotto il suo in via Barnaba Oriani a Roma. Zavattini arrivò con un corteo di dieci persone, la sua famiglia. Durante la guerra giocavano spesso con Emy, la figlia di De Sica. Ogni pomeriggio lei spariva per mezz’ora: andava a mangiare la merenda che non voleva consumare davanti ad altre persone affamate. Per procurarsi il cibo si andava dai contadini a Viterbo, carichi di oggetti presi in casa: scarpe, vestiti, pentole, biancheria da scambiare con farina, patate, uova. Per non consumare le scarpe si inchiodava un ferretto sulla punta e sul tacco. Quando il piede di un bambino cresceva, si tagliavano la punta e il tallone della scarpa. 
I figli di Za andavano a prendere con un carrettino alla chiesa di Sant’Emerenziana una zuppa in polvere per l’intera famiglia: ogni bollino della tessera annonaria valeva due mestoli di zuppa. Al ritorno rubavano dal pentolone un po’ di minestra con un cucchiaio, ma non troppa, perché la madre non se ne accorgesse. Al mare nel dopoguerra si andava su tricicli sui quali stavano anche venti persone. Sulla via del Mare si facevano gare di tricicli, le gomme scoppiavano per il peso e lo sforzo, ma tutti erano felici. Za avrebbe voluto proibire i giocattoli che costavano più di 20 lire, perché i bambini, per invidia, cominciano a odiare i propri simili troppo presto.
Con i primi soldi comperò una stanza di fianco all’appartamento per farci il suo studio. Volle la porta piccola e bassa, alta appena come lui. Blasetti e De Sica ci battevano ogni volta la testa. Za parlava per ore con gente comune incontrata per strada per trovare soggetti. Quando li aveva scritti, li leggeva a Mafalda, la cameriera analfabeta nata a Polignano a Mare, per capire da lei se la vicenda fosse interessante. In Umberto D. la servetta si distrae guardando le formiche sulle piastrelle della cucina, proprio come faceva sempre un delle cameriere della famiglia. Blasetti raccontava a Za, a proposito di Bellissima, a che cosa sono disposte certe madri pur di lanciare le figlie nello spettacolo. Za pensava che per fare un film bastasse avere un’idea forte e scriverla in una pagina. La parte produttiva era facile. Ogni sceneggiatura doveva essere scritta a macchina in otto copie a carta carbone. Ogni correzione doveva essere riportata su tutti i fogli. Invitato al Quirinale, Za ci andò con la madre Ida, perché la moglie Olga non aveva niente da mettersi. Ida prese alcuni biscotti da portare a casa e li nascose nella borsetta. 
Zavattini elaborò il soggetto di Una giornata particolare, ma Ettore Scola girò il film rubandogli l’idea, senza dargliene credito. Si scusò poi con una cassa di champagne. Za si infuriava quando dicevano che il soggetto di Ladri di biciclette era di Luigi Bartolini e non suo. Mario Bava protestò con Giulietta Masina perché Fellini gli aveva rubato l’idea della bambina di Toby Dammit. Lei rispose: «Sai com’è fatto Federico…». Per spiegare a Umberto Bevilacqua come il pensiero e le idee prendono forme imprevedibili, Za rovesciò un bicchiere d’acqua sul tavolo. Fu candidato al premio Strega, ma non vinse. Pensò allora di fare un film sulle fatiche del candidato. Una sera squillò il telefono nella casa di via Merici. Andò a rispondere la moglie di Za: «Chi è?» «Buonasera, sono Fidel Castro». Gabriel García Márquez adorava il neorealismo e Miracolo a Milano: nel 2002 lo scrittore inaugurò la Plaza Za di San Antonio de los Banos a Cuba.
Za vedeva lontano, e diceva che se avessero inventato una cinepresa piccola come una matita da tenere nel taschino, l’innovazione avrebbe cambiato il mondo. Credeva anche che se le pareti interne del naso fossero state ferite dal suo barbiere, un’infezione sarebbe arrivata al cervello causando la morte. Litigò con Indro Montanelli che lo aveva criticato per qualcosa e disse che, come ringraziamento, gli avrebbe volentieri sparato del sale nel sedere.