ItaliaOggi, 12 marzo 2020
Le mascherine come arma geopolitica
La Cina, focolaio della pandemia di Covid-19, ha fatto delle mascherine un’arma geopolitica. Pechino cerca ora di recuperare la propria immagine distribuendo materiale di protezione contro il virus in tutto il mondo accompagnato dai kit per i test. Pechino vuole dimostrare che «la fabbrica del mondo» continua ad avere delle enormi capacità produttive pur essendo la prima vittima del coronavirus. E sta moltiplicando le proprie capacità di produzione delle mascherine.
I media cinesi, ripresi da Le Monde, hanno dato molto spazio al boom della produzione di mascherine: il Paese ne produce 1,66 milioni del tipo N95 (le migliori) al giorno, cioè cinque volte di più rispetto all’inizio di febbraio. E dalle fabbriche ogni giorno escono 110 milioni di mascherine di tutte le qualità, cioè il doppio rispetto all’inizio di febbraio.
Le mascherine sono diventate l’oggetto simbolico della lotta contro l’epidemia mentre il mondo si interroga sui rischi della scelta di far produrre tutto in Cina. Ora che l’epidemia che si è stabilizzata nell’ex Impero di Mezzo e che una seconda fase è in corso nel resto del mondo, Pechino raddoppia gli sforzi per rifarsi l’immagine di leadership.
L’Iran, che aveva inviato un milione di mascherine in Cina all’inizio di febbraio, in piena emergenza, esaurendo il proprio stock, ora, a sua volta in difficoltà perchè colpito dalla pandemia, ne ha ricevute 250 mila da Pechino a fine febbraio. La Corea del Sud e il Giappone, che a loro volta avevano fornito milioni di mascherine alla Cina, recentemente se ne sono viste recapitare centinaia di migliaia, secondo quanto ha riportato Le Monde.
Oltre alle donazioni del governo cinese i patron delle società private sono chiamati alla riscossa: Jack Ma, il fondatore di Alibaba, ha anunciato una donazione di un milione di mascherine al Giappone e all’Iran, in difficoltà. La stampa cinese ha registrato la distribuzione, a fine febbraio, di mascherine gratuite per la strada a Nagaya, in Giappone, da parte di studenti cinesi presenti nel Paese nipponico per uno scambio universitario.
La diplomazia della mascherina è diventata un segno di buona volontà prima in Asia e poi nel resto del mondo dopo le forti tensioni geopolitiche generate dalla propagazione del coronavirus. Seul, capitale della Corea del Sud, era in clima di surriscaldamento con Pechino quando ha fatto irruzione il Covid-19, come pure il Giappone che a fine aprile avrebbe dovuto accogliere Xi Jinping per la prima visita ufficiale di Stato di un presidente cinese dal 2008, dopo anni di tensioni. Il viaggio è stato rimandato.
Nelle prime settimane dell’epidemia, la Cina si era indignata nel vedere certi Paesi, specie gli Stati Uniti, chiudere le frontiere o rimproverare i suoi cittadini.
Pechino ha fatto delle mascherine un elemento strategico della battaglia per la rilocalizzazione delle industrie presenti nell’ex Impero di Mezzo: il governo ha deciso delle restrizioni all’esportazione di maschere N95 (la migliore) fabbricate in Cina dalla società americana 3M. E dunque, il consigliere per il commercio di Donald Trump, Peter Navarro, ha annunciato il progetto di costruire nuove linee di produzione delle mascherine negli Stati Uniti perchè, ha detto, gli Usa non ne ricevono in quanto la Cina, ha detto polemicamente, ha nazionalizzato le nostre imprese, secondo quanto ha riportato Le Monde. Accuse smentite dal ministero cinese del commercio che ha fatto sapere ufficialmente che non ha mai attuato nessuna restrizione all’esportazione di mascherine prodotte in Cina.