il Giornale, 12 marzo 2020
Le mostre d’arte online
Difficilmente riuscirò a vedere la mostra di Steve McQueen alla Tate Modern di Londra (e anche il suo nuovo video Year3 alla Tate Britain). Dura fino al l’11 maggio e non credo proprio sarà passato abbastanza tempo per poter circolare liberamente come fino a qualche settimana fa. Spero almeno di non perdere la super-antologica di Andy Warhol, dicono la più importante mai allestita, che non vedevo l’ora di visitare e recensire: sempre alla Tate, resterà su fino al 6 settembre. Qualche speranza in più c’è.
Neppure a ferragosto l’agenda è stata così vuota. Cancellati al momento tutti gli impegni, Raffaello a Roma e Tomas Saraceno a Firenze (ma si può commentare sul blog In contatto del sito PalazzoStrozzi.org), il Barocco alla Reggia di Venaria e le gallerie a Milano. A un certo punto si tornerà alla normalità, ai nostri soliti riti e alle normali abitudini: usciremo di nuovo di casa, troveremo i musei aperti, sentendoci anzi ancor più coinvolti e obbligati, da cittadini, a sostenere l’ennesima ripartenza della cultura.
Eppure questa volta si ha la sensazione che ci sarà un cambiamento forte, a partire da un semplice concetto che i mala tempora non faranno altro che accelerare qualcosa che era nell’aria. Non è detto insomma che il solo modo di fruire dell’arte sia legato all’abitudine di entrare in un museo, comprare il biglietto e mettersi davanti a un’opera, restarci alcuni secondi e poi passare oltre. Tutti abbiamo visto la Gioconda, sui libri, in tv, sui tablet, ben prima di essere andati al Louvre dove l’esperienza dello sguardo diretto non aggiunge niente, semmai toglie, perché il dipinto lo immaginavamo più grande e c’è sempre troppa gente accalcata davanti.
Il cambiamento dunque ci sarà. Se i primi decenni del XXI secolo sono stati contrassegnati dal «museo cattedrale» firmato dalle archistar e concepito come un brand, da ora in poi gli esperti dovranno ripensare a un modello di museo «liquido», disposto lui a entrare nelle nostre case e nei nostri apparecchi connessi 24 ore su 24. Il successo, dunque, non si misurerà solo nei termini di biglietti venduti, ma anche di accessi, di interazioni, di massa critica. Non è pensabile che i siti web dei musei siano così rigidi, limitandosi a fornire informazioni di base su mostre e collezioni, e neppure che queste stesse info siano traghettate sui social senza nessuna variazione sostanziale. La strada da seguire è quella del MoMA che da tempo ha reso scaricabili gratuitamente tutti i cataloghi della sua storia, comprese le edizioni rare e introvabili.
In questi giorni c’è la corsa a Instagram, Facebook e YouTube, mossi dall’emergenza, per non perdere il contatto con la realtà. Siamo in molti a darci da fare, affinché l’isolamento non mini anche la nostra salute psichica, condividendo contenuti, idee, immagini, racconti, idee, progetti.
Tra i primi a partire la Triennale di Milano con il ciclo Decameron: storie in streaming, trasmesso sul canale Instagram e affidato a testimonial quali Fedez e Saturnino, Lella Costa e Pierluigi Pardo. Su Facebook da seguire i 2 minuti di MAMbo, orchestrati da Lorenzo Balbi, direttore del museo bolognese, a partite dalle mostre in corso o dalle opere della collezione.
Programmi speciali fino al 3 aprile, il giorno in cui (facendo ogni scongiuro possibile) la nostra vita potrebbe ritornare almeno parzialmente alla normalità. Ma l’esperienza dovrà servire a qualcosa, a insegnarci a usare i social non soltanto per fomentare polemiche o pubblicare stupide foto di animali e bambini. Però ci vuole un salto di qualità e cominciare a pensare a un tipo di arte che nasca per il web e non soltanto che si appoggi al web in assenza (momentanea) di altri canali. Pensiamo ai giovani artisti che cercano e trovano su internet gli strumenti più efficaci per far conoscere il loro lavoro, superando ormai l’idea di galleria tradizionale; ai linguaggi in movimento, alle forme progettuali che stanno a monte della realizzazione dell’opera e sono alla base delle nuove sperimentazioni. Forme che trovano in internet la ragion d’essere. Attenzione però, non si tratta di postare l’immagine di un quadro, allo scopo di ottenere like, ma tutt’altra cosa.
Non sarebbe infatti la prima volta che all’arte viene chiesto di inseguire la realtà sul suo stesso piano, basti pensare alle esperienze di performance e body art degli anni ’70, o le forme di arte relazionale e la post-produzione teorizzate negli anni ’90 dalla critica francese: allora oltre ai linguaggi tradizionali entrarono in crisi i vecchi contenitori, oggi c’è il web a proporre la sfida e offrire un’opportunità da cogliere al volo e non soltanto per l’emergenza.
Sperando che intanto la Tate Modern metta in rete i video di Steve McQueen, visto che non potremo andare a Londra.