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 2020  marzo 12 Giovedì calendario

Un libro su Stalin e gli scrittori

A Mosca, là dove Stalin avrebbe costruito il nuovo Palazzo dei soviet (se le sabbie della Moscova glielo avessero permesso), una enorme scritta annunciava al mondo che «il comunismo è il potere sovietico più la elettrificazione». La frase era di Lenin e mostrava quanto la realizzazione del programma bolscevico fosse strettamente collegata alla costruzione di colossali opere pubbliche per la industrializzazione del Paese. 
Anche Stalin aveva un sogno. Era convinto che il comunismo fosse, insieme al suo personale potere, la deviazione dei grandi fiumi e la costruzione di una fitta rete di canali che avrebbero fertilizzato l’intero Paese e fatto di Mosca un grande porto marittimo. Lo studio delle acque divenne una delle materie più importanti dei programmi universitari e i sovietici, alla Esposizione universale di New York del 1939, si presentarono come campioni della ingegneria idraulica. Divenuta straordinariamente popolare, la politica dei canali fu battezzata con la parola perebroska (deviazione, trasferimento) e divenne la grande ambizione di Stalin. Pietro il Grande aveva fatto del suo Paese, con la costruzione della flotta, una potenza marittima; Stalin lo avrebbe emulato facendo della intera Russia una grande Signora delle acque. 
La mano d’opera non gli mancava. I 270 chilometri del canale Fergana, fra l’Uzbekistan e il Tagikistan, furono costruiti in 45 giorni da 180 mila operai che il regime definiva ipocritamente «volontari». Molti di essi venivano da quei gulag che furono sino alla morte di Stalin, nel 1953, il maggiore fornitore di mano d’opera dello Stato sovietico. 
Ma le braccia e le macchine non gli bastavano. Stalin aveva bisogno degli intellettuali e in un discorso a un gruppo di scrittori convocati da Gorkij, li esortò a essere Ingegneri di anime. Questa definizione è ora il titolo di un libro, pubblicato dalle Edizioni Iperborea e scritto da Frank Westerman, un brillante giornalista olandese che ha una lunga familiarità con la Russia e con i Balcani. Il libro deve la sua nascita alla curiosità dell’autore per il romanzo di uno scrittore, Konstantin Paustkovskij, che negli anni Trenta fu anche candidato al premio Nobel. Il titolo (Kara Burgaz) è il nome dato a un mare interno, nei pressi del Caspio, che Westerman, quando divenne corrispondente del suo giornale a Mosca, non riusciva a trovare sulla carta geografica. Ne scoprì la ragione quando, leggendo un romanzo di Paustkovskij (La nascita del mare), scoprì che quel piccolo mare interno era stato per parecchi anni vittima di uno svuotamento provocato dalla perebroska. Da quel momento Westerman cominciò a studiare la storia delle grandi dighe e dei molti canali realizzati per ordine di Stalin dopo il suo avvento al vertice. 
Ma il risultato di quella ricerca fu straordinariamente inatteso. Mentre scavava negli archivi sovietici per cercare dighe e canali, Westerman cominciò a imbattersi negli «ingegneri di anime». Il primo fu Maksim Gorkij, autore fra l’altro di un romanzo (La madre) che fu considerato per parecchi anni il modello del realismo socialista. Per lui fu creata la Unione degli scrittori, di cui fu presidente, e a lui fu dato il compito di scegliere il gruppo degli scrittori che avrebbero visitato un gulag nel Mar Bianco da cui venivano prelevati lavoratori per le opere pubbliche di Stalin. La fama internazionale lo rendeva pressoché intoccabile e gli permetteva una libertà verbale che agli scrittori era interdetta (disse un giorno di Lenin che era «una ghigliottina pensante»). Ma anche Gorkij morì in circostanze misteriose e molti sono ora convinti che il suo medico, per ordine di Stalin, ne abbia accelerato la scomparsa. 
Non meno misteriose furono le morti di un grande poeta, Osip Mandel’stam e di Boris Pilnjak, autore di un altro romanzo «idraulico» (Il Volga si getta nel Caspio). Sappiamo invece come morì Isaac Babel (l’autore della Armata a cavallo), processato e fucilato in una prigione moscovita. Morì di morte naturale invece nel 1951, dopo una lunga altalena di minacce e successi letterari, Andrej Platonov. Non pochi, come Marina Cvetaeva, si suicidarono e Anna Achmatova salvò la vita, ma da Andrej Ždanov, dittatore della cultura sovietica all’epoca di Stalin, fu ferocemente definita: «per metà suora e per metà puttana».