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 2020  marzo 11 Mercoledì calendario

Periscopio

Voto: 0 – LORENZO FIORAMONTI. Esami di maturità: si cambia ancora. Torna la traccia di storia nella prima prova scritta, spariscono le tre buste all’orale. Il Gr1 intervista il ministro (grillino) dell’Istruzione: «Dica qualcosa per dare conforto al circa mezzo milione di maturandi che si ritroverà l’esame un po’ cambiato». Risposta: «Che studiassero». Ma studi lei! Il congiuntivo, almeno. Stefano Lorenzetto. Arbiter.
Molti avevano criticato Pansa anche da vivo. E lui l’aveva previsto. Non si arrabbiava neppure, dava per scontato che chi reagiva in quel modo non avrebbe potuto avere una reazione diversa. Una cosa del genere, in piccolo, era accaduta anche a me, quando scrissi La famiglia rossa, la mia storia dentro la Cgil. Passai da una rapida ascesa a un capitombolo rovinoso: mi misero in un sottoscala. La mia colpa? Rispettare la componente socialista del sindacato. «Se fossi stata in Unione Sovietica, saresti finita nel gulag. E io con te» mi diceva Giampaolo. È la malattia della sinistra italiana: il furore ideologico. Adele Grisendi, moglie di Giampaolo Pansa (Aldo Cazzullo). Corsera.

Lungamente annunciato e largamente invocato, il ritorno di Dibba suona come l’ultima carta del Movimento 5Stelle, il jolly prima di dichiarare forfait. E la Base, o quel che resta aggrappato alla zattera della Piattaforma, lo acclama come leader, vate, primate, messia, fate voi. È lui il Capo, non più Grillo né Di Maio, figuriamoci le altre ombre: Figo, Taverna, Crimi. Il senso dell’operazione si potrebbe spiegare con la psicanalisi: regressus ad puerum, ovvero il tentativo di recuperare l’innocenza perduta delle origini, il ritorno alla pubertà, dopo la malasorte del governo e l’avvento del Presidente Zero, Giuseppi Conte. Basta con le riformette e i governicchi, basta con gli annunci per finta (in questo governo solo due decreti attuativi su 169, il governo delle leggi virtuali e delle riforme fake). Marcello Veneziani. Panorama.

Lo scollegamento di Mattarella dall’uomo comune non è nuovo. Prima che i giochi di Palazzo gli assegnassero il ruolo di primo concittadino, il nostro era un dc di sinistra con bronci e rancori. Nel 1990, si dimise all’istante da ministro di un governo Andreotti per protesta contro il Parlamento che, con la legge Mammì, aveva confermato le tre reti berlusconiane della Fininvest, anziché ridurle a una come desiderava il suo capocorrente, Ciriaco De Mita. Un puro dispetto verso il tycoon brianzolo. Anche allora, come oggi, il nostro aio non si chiese se gli italiani avessero gusti diversi dai suoi e fossero invece contenti delle reti private che li distraevano a costo zero. Né si pentì quando il popolo bue, convocato a referendum cinque anni dopo, riaffermò, con bel margine, il proprio gradimento alla legge sgradita a Mattarella. A conferma che non c’è peggiore sordo di chi non vuole sentire. Giancarlo Perna. LaVerità.

Sono grato a chi mi ha accolto con amicizia e generosità. A Parise, a Moravia, a Marina Ripa di Meana che è stata una grande donna, al suo compagno Carlo cui devo l’avermi introdotto alla Biennale di Venezia, quando fu presidente dal 1974 al 1979. È gente che non vedrò più. Scomparsa. Tranne Raffaele La Capria, che continuo a incontrare. Ogni volta che lo vado a trovare gli dico: Dudù, hai 97 anni, ti rendi conto! Ferdinando Camon, scrittore (Antonio Gnoli). la Repubblica.

Intrapresa da Inghilterra e Francia «per la libertà della Polonia», quella guerra si concluderà con una rinnovata schiavitù della Polonia stessa, più la Bulgaria, la Romania, la Cecoslovacchia, l’Ungheria, l’Albania, mezza Germania, le Repubbliche baltiche e l’obbligo di «neutralità», ossia l’astensione di ogni influenza occidentale, imposta a Finlandia e Austria. Piero Buscaroli, Dalla parte dei vinti. Mondadori, 2010.

Si potrebbe osservare che tutte le volte che uno degli Stati italiani manifestava l’intenzione di prendere il predominio nella Penisola, si formava una coalizione degli altri per abbatterlo; o per timore di questa veniva chiamato un sovrano straniero come fece Lodovico il Moro; tanto che si potrebbe quasi cavarne una chiave interpretativa della storia italiana; che gli italiani preferirono sempre distruggersi tra di loro, o subire il potere di uno straniero, piuttosto che riconoscere la superiorità di uno di loro. Giuseppe Prezzolini, L’Italia finisce – Ecco quel che resta. Rusconi, 1994.

Ho sempre l’impressione (però è solo un impressione) che i politici intuiscano le cose anche quando non sono intelligenti. La volontà di mantenere il potere aguzza l’ingegno, li spinge a percorrere strade che li rafforzano. Questo spiega anche perché in genere arrivano al potere persone mediocri, mentre quelle veramente intelligenti non ci riescono. Oppure anche se ci arrivano, dopo un po’ lo lasciano, osi fanno lasciare. Essere molto intelligenti non è utile per dominare la gente. Ida Magli e Giordano Bruno Guerri, Per una rivoluzione italiana. Baldini&Castoldi, 1996.

Quando la Chiesa, in lotta contro l’Impero investì Ariberto d’Intimiano del titolo di vescovo-conte, Milano rinacque rapidamente dalle rovine causate dagli Ungheresi. Ariberto promulgò un editto nel quale rendeva noto che «chiunque, sapendo lavorare, fosse riparato a Milano, sarebbe stato un uomo libero». In tempo di feudalesimo stretto questo editto era da considerarsi rivoluzionario. Gianni Brera, Storie dei lombardi. Baldini&Castoldi, 1993.

Corde, il decano dell’università, trascorreva le giornate nella vecchia stanza di Mina, sorseggiando grappa alla prugna sfogliano annosi libri, guardando dalla finestra gli edifici danneggiati dal terremoto, il cielo invernale, i grigi piccioni, gli alberi scapitozzati, gli squallidi tram arancio-rugginosi stridenti sulle curve. Saul Bellow, Il dicembre del professor Corde. Rizzoli, 1982.

Dopo il tramonto era infatti caduta una inusuale nebbiolina, un conto è che aveva isolato le luci dei lampioni e quelli delle finestre, come se fossero sospese per aria senza appoggi. Andrea Vitali, Il meccanico Landru. Garzanti, 2010.

Finalmente la Baronessa. Letteralmente uscita dalle voluttuose pagine del Verga più frivolo e mondano, talora ella vestiva di un pallore claustrale, diciamo quasi un cilicio espiatorio, la sua emblematica austerità. E passava le giornate intere in letture ascetiche; a addirittura asettiche.? Pallida e altera e fiera: il massimo dello chic («Fine a se stesso», addirittura, forse?). Alberto Arbasino, Specchio delle mie brame. Adelphi, 1995.

Grillo: Bubbone di corte. Roberto Gervaso. Il Giornale.