Alain, conferma che non ci sono più queste rivalità nella Formula 1 di oggi?
«Mah, non so se queste rivalità siano uguali: sono tempi diversi, il mondo delle corse oggi è più sofisticato, l’ambiente è cambiato e i rapporti, anche quelli con la stampa per dire, non sono più gli stessi. E infine vanno considerati il carisma, gli stili e i caratteri dei piloti».
Ecco perché quando si parla dei suoi anni li si ricorda come il ‘periodo d’oro’ della F1.
«Non c’è un giorno in cui qualcuno che conosco non mi parli di Ayrton e me: significa che abbiamo fatto qualcosa, che qualcosa è rimasto.
Ma in quegli anni, dal vivo, non te ne rendevi conto. Non so come dirlo: è stato abbastanza incredibile...».
Però oggi non si riesce a immaginare un pilota che possa dividere il podio con un altro in segno di omaggio.
«Ah, il gran premio di Adelaide ’93: io trionfai nel Mondiale salendo sul podio, ma Ayrton che aveva vinto la corsa mi prese il braccio e volle dividere il gradino più alto con me».
Quel momento di fair play cambiò i vostri rapporti.
«Effettivamente sì, e oggi posso dire che la nostra è stata una storia magnifica. C’è stato un prima e un poi: Senna, prima, mi guardava come il pilota da battere e abbattere, una guerra totale. Ci sono i fatti che lo confermano. Poi, quando io mi sono fermato, c’è stato un completo riavvicinamento. Non aveva più la stessa motivazione. Senza di me era come avesse perso un po’ il suo obiettivo».
E diventaste perfino amici.
«Mi raccontava cose intime della sua vita. Non era più lo stesso Ayrton Senna che mi sfidava in pista. Mi ricordo che voleva mi occupassi dell’associazione dei piloti: mi chiamava più volte a settimana per chiedermi consigli».
E arriviamo quindi a Imola ’94 e a quel messaggio di Senna prima di morire: ‘Ci manchi a tutti, Alain’. Se lo ricorda?
«Certo. Fu intervistato da TF1, tv francese e, sapendo che io ne ero commentatore, disse quelle parole. Ma io non ero in studio. Solo dopo la sua morte me lo mostrarono, e mi vennero le lacrime agli occhi. A posteriori ho capito che c’era qualcosa che non andava».
Il mondo era schierato con Senna, oppure con Prost.
«E invece com’è finita? Che le nostre storie si sono completamente legate. Non solo la mia carriera, ma anche la mia vita.
Vivo con questa rivalità/amicizia da sempre».
Poi, lasciato il casco, ha vissuto
l’evoluzione di questa F1.
«Nella mia Formula 1 amavo controllare, padroneggiare e svilupparla io, così come amo l’estetica delle auto dell’epoca.
Oggi le monoposto si sono evolute enormemente in termini di aerodinamica, ma non ne sono elettrizzato. Nulla ha più a che fare con gli anni 80. Preferisco le auto più semplici e più snelle. La professione è cambiata. Oggi sono soprattutto i piloti che ascoltano i loro ingegneri...».
Un modo come un altro per dire che non le piace questa F1.
«No, oggi sono il direttore non esecutivo della Renault: alla fine ho accettato e firmato il progetto, ci sono dentro. Quindi la mia risposta è che mi piace. Quello che voglio specificare è che secondo me alcuni cambi non sono stati giusti, ma ormai sono stati fatti».
Colpa dei nuovi proprietari americani? Cosa pensa di Liberty?
«No, no: Liberty ha una strategia diversa che mi piace. Cerca di catturare i giovani, per ritrovarli e interessarli al nostro sport: è una filosofia più aperta ai social media.
E infatti i giovani si stanno avvicinando, è un bene per tutti».
Torniamo a lei: com’è la vita a 65 anni?
«La mia vita? Oh, la considero una vita eccezionale: faccio le cose che mi piacciono, le gare con la mia bicicletta. Posso fare tutto ma guidare no, non mi interessa più. Il punto è che non voglio guidare solo per divertimento e per andare al massimo non ho le giuste motivazioni».
Ha chiuso la carriera facendo un passo indietro: accade di rado, una scelta del genere e di solito è un messaggio importante.
«Io lo feci perché l’ambiente non mi piaceva più e pensai che era il momento giusto di dire basta. Sulle scelte altrui naturalmente non posso e non voglio entrare».
Faccia un pronostico sul Mondiale che inizia domenica prossima in Australia.
«Non posso comparare piloti e scuderie. Però sono certo di una cosa: sarà sempre più difficile avere due piloti alla pari, due primedonne nello stesso team. Non si batte Hamilton con due numeri uno. Tocca fare delle scelte».
Ultima cosa: una Ferrari che non è competitiva fa male al Circus?
«Rispondo in un’altra maniera.
Fate un sondaggio e chiedete alla gente se sa da quanto tempo la Rossa non vince: penso che tanti non lo ricordano mica che l’ultimo titolo risale al 2008. E sapete perché? La Ferrari è nel cuore degli appassionati dei motori, è un rapporto diverso. Per come la vedo io non è un problema se vince o no: la Rossa resta sempre nel cuore».