Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  marzo 11 Mercoledì calendario

L’Africa supera l’Amazzonia

Il grande spazzino dell’atmosfera terrestre non è più la densa foresta dell’Amazzonia bensì quella africana del bacino del Congo. Se la vasta giungla sudamericana era finora considerata il più potente annientatore di carbonio, oggi questo lavoro essenziale per la salute del pianeta lo svolgono meglio le foreste del Continente nero, che assorbono la fetta più importante delle emissioni mondiali di CO2. A rivelarlo è uno studio pubblicato sull’ultimo numero della rivista Nature, che mette in guardia contro i rischi legati alla crescente debolezza dell’Amazzonia nel catturare e trasformare l’anidride carbonica. Secondo l’autore dell’articolo, il professor Wannes Hubau, che è ricercatore al Museo reale dell’Africa centrale di Bruxelles, il picco massimo dell’assorbimento del CO2 da parte della giungla sudamericana si è registrato negli anni Novanta, ma da allora la sua capacità di neutralizzare il gas ha cominciato a diminuire a ritmi inquietanti. «La sua capacità di assorbimento è diminuita d’un terzo negli ultimi vent’anni, ed entro il 2040 l’Amazzonia potrebbe risputare più CO2 di quanto ne sequestri», scrive il professore Hubau.
I motivi di questo calo sono legati alla massiccia deforestazione ma anche all’effetto del surriscaldamento sugli equilibri degli ecosistemi forestali. «Gli scienziati si sono sempre focalizzati sulla distruzione delle foreste, ma ci sono anche altri fattori meno visibili che partecipano alla loro trasformazione, e Il Continente nero dei quali è importante tener conto», dice ancora Hubau, che ha misurato l’impatto del cambio climatico sulla crescita o il deperimento degli alberi di foreste intonse, seguendo l’evoluzione di oltre cinquecento particelle di circa un ettaro, sia in Africa sia in Amazzonia.
Ebbene, il primo effetto dell’aumento del CO2 è una straordinaria accelerazione nella crescita degli alberi, fenomeno che però viene bloccato dall’aumento della temperatura e dai ripetuti episodi di siccità. Ciò è più evidente in Amazzonia, dove la mancanza di pioggia ha provocato in ampie regioni la morte di centinaia di migliaia d’alberi. In Africa, invece, soprattutto in quelle aree di un’altitudine di circa 200 metri sul livello sul mare, e quindi con una temperatura media di 1,1 gradi inferiore rispetto a quella amazzonica, gli alberi hanno resistito meglio. Fatto sta, insiste nel suo articolo il professor Hubau, che bisogna ad ogni costo difendere tutte le foreste tropicali: i loro alberi possono immagazzinare 250 miliardi di tonnellate di carbonio, il che equivale a quasi un secolo di emissioni di combustibili fossili.