Avvenire, 11 marzo 2020
L’amore virtuale, da Dante a Stendhal
Oggi – si dice – viviamo nell’epoca del virtuale: i rapporti tra le persone non hanno più concretezza; molti sono convinti di avere tanti “amici” quanti sono i contatti di Facebook; alcuni addirittura si incontrano, si innamorano e magari si fidanzano on–line; gli adolescenti (ma non solo) si vedono su Instagram e cominciano a “seguirsi”, sempre rigorosamente a distanza.Ma siamo davvero sicuri che in passato le cose fossero molto diverse? Che le relazioni e i sentimenti venissero vissuti sempre con i piedi per terra, insomma con la giusta dose di sano realismo? A leggere le pagine dei grandi autori della letteratura, molte volte si direbbe di no. Prendiamo Dante (e, prima di lui, i trovatori). Contempla Beatrice da lontano, accontentandosi della beatitudine ( nomen omen) che lei trasmette quando «si va, sentendosi laudare», per le vie di Firenze.
Gode del saluto che l’amata, nella sua munificenza, ha deciso di corrispondergli ed entra in depressione quando la donna cambia idea sul suo conto (ritendendolo volubile perché lui, a fin di bene, cioè per sviare i pettegolezzi della gente, ha cominciato a guardare insistentemente una «donna dello schermo») e non lo saluta più. Oggi uno che seguisse una donna e si appostasse per intercettarla nei suoi movimenti attraverso la città sarebbe come minimo denunciato per stalking. Come stalker patologico verrebbe inquadrato anche Orlando (e con lui numerosi altri paladini del poema ariostesco) nel suo inesausto inseguimento dell’inconsapevole Angelica. Quando si accorge che lei non è quella che lui aveva immaginato (perché nel frattempo si è concessa a Medoro), prima fa di tutto per ingannare se stesso e non crederci, poi, quando ottiene, proprio malgrado, la prova definitiva del “tradimento”, impazzisce definitivamente, mettendo a soqquadro l’intera regione. Ma anche in questo caso il tradimento è solo nella sua testa, perché di fatto la figlia del re del Catai non gli ha mai promesso alcunché.
Forse per gli scrittori e i poeti l’amore è sempre stato virtuale. Leopardi chiama “Aspasia” (come il celebre personaggio dell’Atene di Pericle: una donna bellissima, coltissima, ma pure sempre una “cortigiana”, eufemismo per dire altro) la nobildonna fiorentina Fanny Targioni Tozzetti, colpevole di non aver corrisposto al suo amore disperato. Nell’omonimo componimento dei Canti, si lancia in una tirata misogina della peggior specie: la bellezza femminile appare all’uomo come un raggio di luce divina ed egli, ferito dall’amore, immagina, a partire dalla donna reale e concreta, l’“amorosa idea”, che contiene in sé gran parte della perfezione divina; tale “amorosa idea”, frutto del parto della fantasia maschile, è del tutto simile (nel viso, negli atteggiamenti, nella voce) alla donna reale, che l’amante, ingannato, ritiene, nella propria confusione, di desiderare e di amare, mentre in realtà desidera e ama il falso concetto che lui si è fatto della donna.
La teoria leopardiana richiama a sua volta quella della “cristallizzazione”, formulata da Stendhal nel trattato Sull’amore ( De l’amour, 1822): «Lasciate lavorare la testa di un amante per ventiquattr’ore, ed ecco cosa troverete. Alle miniere di sale di Salisburgo, si getta, nelle profondità abbandonate della miniera, un rametto d’albero spoglio a causa dell’inverno; due o tre mesi dopo lo si ritrae coperto di cristallizzazioni brillanti: (…) è impossibile riconoscere il rametto primitivo. Quel che chiamo cristallizzazione, è l’operazione dello spirito che trae da tutto ciò che si presenta la scoperta di nuove perfezioni nell’oggetto amato». Siamo di fronte, insomma, a un processo di idealizzazione, in virtù del quale siamo portati a conferire all’oggetto amato tutte le qualità sognate. In tal modo accendiamo il meccanismo del piacere, sempre legato a un senso indefinito, come quello che si prova nei sogni o nelle immaginazioni dell’infanzia. Nell’amore, infatti, non è la donna (o l’uomo) reale a dare piacere, ma ciò che noi immaginiamo che questa persona sia. Per Leopardi dà piacere non la realtà, ma il sogno, come il Genio familiare garantisce a Torquato Tasso (in una delle operette morali più belle): «Per tutto domani, qualunque volta ti sovverrà di questo sogno, ti sentirai balzare il cuore dalla tenerezza». Forse anche l’odierna, generalizzata e spesso problematica tendenza di molte persone a rifugiarsi nella “realtà virtuale”, altro non è che un tentativo di rintanarsi, regressivamente, in un mondo costruito e idealizzato a immagine e somiglianza dei propri desideri insoddisfatti.