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 2020  marzo 10 Martedì calendario

Facebook ha venduto i profili di 300 mila australiani

Nomi, date di nascita, indirizzi email, localizzazioni, elenco degli amici, “like” a pagine e messaggi. Sono più di 300 mila gli australiani a cui queste informazioni sono state “rubate” da Facebook, o meglio, da Cambridge Analytica, attraverso la app “This is your digital life” per la profilazione politica: obiettivo diverso da quello per cui i dati venivano raccolti.
Per questo, ieri, il Commissario per le Informazioni di Melbourne, Angelene Falk, ha citato in giudizio il colosso social di Mark Zuckerberg davanti al tribunale federale. “Facebook – a detta del Commissario – ha commesso gravi e ripetute interferenze nella privacy dei cittadini australiani secondo le norme vigenti nel Paese. Riteniamo infatti che la progettazione dalla piattaforma (del social network, ndr) abbia impedito agli utenti di poter scegliere, e quindi controllare il modo e quali informazioni personali potevano essere divulgate”, sostiene Falk.
Si tratta delle cosiddette “impostazioni predefinite” della piattaforma social, che, secondo l’Australia “hanno facilitato la diffusione delle informazioni personali, comprese quelle sensibili”. Ma, soprattutto, il Commissario rivendica un dato: dei 311 mila profili presenti, di cui Facebook ha facilitato la divulgazione delle informazioni tra marzo 2014 e maggio 2015, solo 53 avevano installato l’app collegata di CA e, per di più, Facebook finora non è stato in grado di dichiarare ufficialmente quanti utenti siano stati realmente colpiti da questa violazione della privacy.
Un caso, quello australiano, che rientra nello scandalo Cambridge Analytica del 2016 e che vede colpiti 87 milioni di utenti del social network fondato da Zuckerberg in tutto il mondo. Tuttavia, l’inchiesta di Melbourne arriva in un momento particolarmente delicato per la politica Usa, alle prese con la campagna per le elezioni di novembre e sempre attenta alla gestione della propaganda dei candidati sulla piattaforma social.
Soprattutto perché quella organizzata dal presidente uscente, Donald Trump, secondo i Democratici, starebbe riportando in auge il vecchio scandalo. Secondo un articolo pubblicato da The Atlantic e ritwittato nientemeno che dal predecessore di Trump, Barack Obama, il tycoon starebbe utilizzando il “metodo Cambridge Analytica” per essere rieletto. E avrebbe fatto le prove generali della vecchia tecnica già durante il processo di impeachment. Secondo l’Atlantic, in base alla profilazione degli utenti, sarebbero state “mosse” centinaia di migliaia di pagine Facebook contenenti fake news o “verità” trumpiane sulla messa in stato d’accusa.
Del team della società di dati fallita nel 2018, infatti, è stato a capo Matt Oczkowski, colui che ora sta aiutando a supervisionare il programma dati della campagna di Trump, lo stesso uomo che ha partecipato alla sfida di The Donald nel 2016. Per questo il presidente avrebbe già fatto un versamento alla sua società HuMn Behavior che dovrebbe essere pubblicato nei prossimi dati sulla campagna.
A ogni modo, i metodi di lavoro di Oczkowski sono ancora tutti da dimostrare, visto che i collaboratori del presidente negano di aver utilizzato i dati di Facebook e di Cambridge nel 2016 per vincere le elezioni, affermando che non lo faranno neanche nel 2020, non essendo interessati al profilo psicografico degli elettori.
La realtà per ora è che è stato dimostrato che i dati raccolti da CA sono stati utilizzati per creare un programma software per prevedere le scelte degli elettori e influenzarli.
Per questo, negli Usa la commissione federale commerciale ha multato Facebook per 5 miliardi di euro, il Regno Unito per 500 mila sterline. Ogni infrazione comporta una sanzione massima di 1,7 milioni di dollari. La Commissione australiana – criticata dai cittadini per aver perso tempo nelle indagini – si vuole avvalere di svariate violazioni, ma non è ancora chiaro se lo farà per tutti i 311 mila casi.