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 2020  marzo 09 Lunedì calendario

Quanti sono i pastoni in Italia

I cieli italiani rischiano l’ingorgo. Non certo per colpa degli aerei tradizionali, che in tempi di Coronavirus restano a terra più spesso che in passato. Oggi a fare la differenza sono i droni, i dispositivi hi-tech, guidati con un comando remoto. Quelli registrati all’Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile, erano a fine 2019 quasi 14mila. Il numero è frutto di un boom recentissimo, visto che ancora nel 2016 i micro-apparecchi in volo erano poco più di 2400, sei volte di meno. E fin qui si parla degli apparecchi professionali, quelli che fanno capo alle 700 aziende del settore (fatturato complessivo 100 milioni di euro), che li impiegano per gli scopi più vari: dalla mappatura dei terreni all’esame di ponti e tralicci. A questi si aggiungono le migliaia di apparecchi utilizzati per puro scopo ludico dai semplici appassionati. Un affollamento che porterà presto a un cambiamento delle regole 
Oggi a disciplinare gli aviatori 2.0 è un regolamento nazionale emanato nel 2013 per dare attuazione all’articolo 73 del Codice della navigazione. La norma prevede, fra le altre cose, che chi voglia far decollare un apparecchio professionale debba prima seguire un corso teorico e pratico e ottenere il relativo patentino. Dal prossimo luglio entrerà in vigore un regolamento europeo che estende a tutti, anche ai semplici amatori, l’obbligo del diploma. 
PICCOLI E GIOVANI
Secondo la prima indagine sul settore presentata dall’Osservatorio droni del Politecnico di Milano solo il cinque per cento delle 700 aziende del settore si occupa della costruzione dei dispositivi. L’86 per cento è invece impegnato nei servizi legati all’’uso dei droni, il quattro per cento nella realizzazione dei software e il tre per cento nella distribuzione. Si tratta nella maggior parte dei casi di aziende con meno di dieci dipendenti, quasi tutte giovanissime perché fondate fra il 2013 e il 2018. E con margini di crescita alti. 
La più grande di queste realtà si chiama Italdron, ha sede a Ravenna e da quasi dieci anni realizza e commercializza droni professionali, tutti rigorosamente Made in Italy. L’azienda romagnola, con il suo 1,5 per cento di droni registrati, è la risposta tricolore naturalmente in scala ridotta – al colosso cinese Dji, che da solo detiene circa il 70 per cento del mercato mondiale. A farle compagnia c’è Ids, impresa pisana specializzata in ingegneria hi-tech fra satelliti per le comunicazioni, sistemi per la protezione civile e militare e velivoli a controllo remoto. Infine, fra le più rilevanti, c’è la startup di Treviolo (Bergamo) Dxdrone, specializzata nell’assemblaggio degli apparecchi. In campo militare, invece, la parte del leone la fa Leonardo che ha appena presentato al mondo il suo nuovo gioiello destinato alla sorveglianza: Falco Xplorer. Il resto del mercato è dominato da giganti esteri: oltre alla cinese Dji ci sono la francese Parrot e l’altra cinese Yuneec. «Il mercato italiano è ancora modesto ma è composto da realtà giovani ed emergenti conferma Paola Olivares, del Politecnico di Milano -. Il business è dunque destinato a crescere nei prossimi anni. Così la pensano anche le aziende italiane: metà ritiene che il mercato si sia sviluppato davvero negli ultimi 12 mesi, mentre due su tre vedono il comparto in forte espansione nei prossimi tre anni». Questo nonostante la feroce competizione cinese, che schiaccia le imprese italiane grazie a costi bassissimi. «Fino a sei o sette anni fa le imprese della Penisola erano ancora più numerose», ricorda Nicola Nizzoni, presidente di Assorpas, l’associazione che riunisce gli operatori del settore civile. «La forza dei monopolisti asiatici ha provocato molte chiusure. Inoltre la mancanza di una normativa per l’uso ludico ha rallentato il mercato». 
Diversa la situazione in ambito professionale. «Qui le tecnologie sono in pieno sviluppo: e gli apparecchi sono sempre più usati per i rilievi industriali, nell’agricoltura di precisione e nella sorveglianza di sicurezza», spiega l’esperto. Oggi non è raro vedere un drone volare intorno a viadotti e tralicci per controllarne lo stato attraverso videocamere e sensori, così come sui campi coltivati per mappare i terreni, fotografare le aziende dall’alto e diffondere prodotti fitosanitari per contrastare insetti alieni e malattie. «Gli apparecchi vengono utilizzati anche nel campo della ricerca dei dispersi prosegue Nizzoni -. Ma anche in ambiti meno noti, come per esempio nel campo dell’arte e dell’archeologia. Così come in quello ambientale». 
QUI CI VUOLE ORDINE 
Sono sempre più numerosi gli enti che usano i velivoli a controllo remoto per fotografare le opere e verificarne lo stato di conservazione, così come quelli che utilizzano sensori specifici per prelevare le acque e poi analizzarle. L’attenzione è rivolta anche al futuro, che fa rima con trasporto. «La nuova frontiera è proprio questa conclude Nizzoni -. Nei prossimi anni vedremo droni adibiti allo spostamento delle merci. Ma anche delle persone». Una mano la darà proprio il nuovo regolamento Ue, approvato lo scorso anno e di prossima applicazione in Italia. Le norme erano attese perché mettono ordine nel settore e aprono la strada a scenari futuristici. «Aumenteranno tassi di crescita e sicurezza prevede Alessandro Cardi, vice direttore generale di Enac -. Arriveremo presto, anche in Italia, alle consegne dei beni acquistati sulle piattaforme di ecommerce e all’utilizzo dei droni anche in città, per il trasporto di merci». 
NORME EUROPEE
Già oggi alcuni Comuni hanno deciso di impiegare i droni per controllare meglio il territorio, come ausilio per la polizia locale. «La leva è la tecnologia», prosegue Cardi -. Sono apparecchi in grado di fermarsi e tornare indietro in autonomia quando perdono il segnale, o di scendere lentamente e atterrare senza fare male a nessuno. Inoltre sono dotati di paracaduti e sensori che aiutano a gestire situazioni di vento forte». Proprio grazie a queste qualità diventeranno sempre più numerose le città controllate dall’alto, così come si moltiplicheranno i servizi. «Stiamo già lavorando nel campo della mobilità urbana rivela Cardi -. Ci sono prototipi di taxi volanti che si spostano controllati da remoto: veri e propri piccoli aerei urbani, che vedremo nei cieli delle grandi megalopoli in non più di cinque anni». 
Le controindicazioni come ovvio, non mancano. Non sempre i droni vengono usati in modo opportuno. «Fino ad ora gli apparecchi ludici hanno goduto della massima libertà: di fatto non c’erano regole da rispettare. E così a volte la sicurezza dei cittadini è stata messa a repentaglio fa presente l’esperto dell’Enac -. Gli amatori a volte non sanno che le raffiche di vento possono far perdere il controllo o che avvicinarsi troppo alle persone può essere pericoloso. Ecco perché è stato necessario correre ai ripari, in attesa che entri in vigore il regolamento europeo valido per tutti». È così che l’Enac ha istituto alcune no fly zones, aree sulle quali è vietato far volare i droni. «Attualmente riguardano il Colosseo, il Vaticano, il Quirinale e il Viminale conclude Cardi -. Altre possono essere istituite all’occorrenza, in caso di eventi particolari o manifestazioni». E presto arriveranno i radar anti-droni per mettere al sicuro gli aeroporti.