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 2020  marzo 08 Domenica calendario

Anche gli asiatici hanno costruito l’America

Di loro oggi resta poco o nulla. Qualche tomba nel cimitero di Boothill, la collina all’ingresso della cittadina. Mucchi di terra, una lapide con data, nome e scritte per suscitare curiosità. Sepolture e cartoline per turisti, ma sullo sfondo sta la storia. Resta ancora meno delle strade che una volta delimitavano la piccola Chinatown, incastonata nella località dell’Arizona diventata famosa per la sfida dell’OK Corral. Qui, non lontano dal confine con il Messico, arrivarono le avanguardie di immigrati cinesi. Una goccia della marea, spinta dalla miseria ad attraversare il Pacifico.
Seguivano sentieri aspri in cerca di un destino migliore. Lavorarono duramente nel costruire la ferrovia, nelle miniere che scavavano le montagne, nei cantieri dell’edilizia. Venivano apprezzati per la loro determinazione ma erano anche avversati dai colleghi bianchi perché accettavano paghe basse. Ci rubano il lavoro, gridavano gli xenofobi. Operai da 10-20 dollari al mese, più una ciotola di riso, un tetto «a prova di pioggia». E a chiudere, nel 1882, la legge che mise al bando gli orientali, ultima discriminazione dopo violenze e abusi (The Chinese Exclusion Act firmato dal presidente Chester A. Arthur il 6 maggio, in vigore fino al 1943, quando la Cina nazionalista era alleata di Washington nella guerra contro il Giappone).
Il pregiudizio era radicato, correva come l’incendio nella prateria, ravvivato da voci incontrollabili e da condizioni igieniche precarie nelle zone abitate da asiatici. A El Paso, Texas, si sparse la notizia (infondata) di casi di peste bubbonica innescati dai cinesi, colpevoli di allevare maiali e pollame vicino alle loro case. Altri soffrivano la concorrenza delle lavanderie e dei ristoranti gestiti dai cinesi. Ma altri ancora apprezzavano i piaceri delle fumerie di oppio, come a Tombstone. In questa località chi voleva divertirsi andava a Hoptown, il quartiere dove regnò incontrastata per molto tempo una donna risoluta e intraprendente, Sing Choy, ribattezzata China Mary. Provvedeva a tutto: dispensava occupazioni, mandava avanti imprese, procurava donne, faceva affari con piglio deciso e dimostrava generosità verso i più deboli. Non pochi, in quegli anni duri. Le resero molti onori alla sua morte, nel 1906; se ne sarebbe scritto ancora. Anche qui, come in diverse centri dell’Ovest, i cinesi avevano scavato passaggi sotterranei per potersi muovere indisturbati e garantire, a quanti lo chiedessero, un po’ di riservatezza. Non ne resta nulla: gli edifici furono distrutti da un rogo che cancellò la testimonianza di tante esistenze. A ricordare il passato rimangono le indicazioni sommarie per i visitatori, un paio di targhe, gli archivi e, naturalmente, il «cinema».
Negli studi cinematografici poco fuori Tucson, set fantastico per decine di film e telefilm western, sono stati ricostruiti un paio di vicoli usati per rappresentare una vecchia Chinatown, con le lanterne rosse e i panni stessi ad asciugare. Molto realistica, molto finta. Una necessità per i registi di «opere» famose o meno dedicate a cowboy e Apache ma dove c’era l’immancabile cuoco con il codino, gli scavatori sfruttati, i gestori di luoghi «proibiti».

Più a ovest, nel vecchio penitenziario di Yuma, descritto come l’inferno sulla terra, negli elenchi dei detenuti spiccano nomi che paiono cinesi. Uno di loro si era distinto per avere organizzato un piccolo orto con il quale cambiava la magra dieta carceraria. Aveva tempo per farlo: lo avevano condannato all’ergastolo, non sarebbe mai uscito vivo. In minuscoli villaggi fantasma dell’Arizona, ormai abbandonati (o quasi) è possibile trovare tracce di avventure e sacrifici di uomini e donne arrivati dall’Asia.
Destini diversi da quelli dei loro connazionali entrati in America negli ultimi anni. I cinesi sono oggi la terza comunità più numerosa dopo messicani e indiani, circa 2 milioni e mezzo secondo i dati ufficiali. Molti però i clandestini, intrufolatisi attraverso aeroporti, via nave oppure violando il muro, a sud. Una parte, come alla fine dell’Ottocento, finisce per essere intrappolata nel lavoro nero. All’opposto ci sono i regolari, quelli che hanno fatto fortuna e si insediano nei sobborghi ricchi acquistando case. Robuste le comitive di turisti: amano il Sudovest e i grandi parchi. Ma sono oltre 350 mila gli studenti iscritti nei più prestigiosi atenei Usa, una risorsa economica importante. Tra quanti hanno percorso questa strada c’è Xi Mingze, la figlia del presidente Xi Jinping. Si è iscritta, con un nome di copertura, ad Harvard, ha seguito i corsi e si è laureata nel 2014. E ha gradito. Al punto – impossibile avere conferme – che sarebbe tornata nel 2018 per proseguire gli studi.
La presenza di ricercatori e universitari cinesi si è inserita in una cornice complicata, piena di tensioni, rese ancora più acute dalla presidenza di Donald Trump. Se una volta i cinesi venivano guardati con diffidenza per ragioni sociali, adesso alcuni sono sospettati di essere tout court infiltrati, agenti spediti in missione da Pechino per copiare invenzioni e carpire segreti. Dal settore militare a quello economico. Gli episodi non mancano: alcuni individui sono stati scoperti con in tasca le prove di informazioni trafugate.
La guerra commerciale ha visto la Casa Bianca all’offensiva. Duello tra superpotenze in parallelo alla sfida strategica nel Pacifico, scacchiere diventato prioritario per il Pentagono, attento a contare il numero di navi e mezzi che la Cina sforna ai suoi ritmi per dare muscoli alla «collana di perle», la serie di basi che dovrebbe proiettarsi fino alle porte dell’Europa, attraverso Asia e Africa.
Infine l’emergenza coronavirus, crisi sanitaria dai risvolti economici: il presidente statunitense teme l’impatto negativo sulla sua campagna elettorale. Un’altra era, un altro mondo rispetto a China Mary, ai cinesi impegnati nelle locande dai nomi tranquilli in luoghi turbolenti, lungo le piste della Frontiera, ai connazionali che si spezzavano la schiena per posare un binario o per estrarre minerali.
Un pezzo di West lo hanno conquistato anche loro.