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 2020  marzo 08 Domenica calendario

Virus, Sui conti del 2021 ipoteca da 35 miliardi

Nella risposta arrivata ieri al Mef la Commissione prefigura margini molto ampi per una eccezionalità fiscale nel 2020 dovuta all’emergenza coronavirus. Ma con la relazione sul deficit aggiuntivo che le Camere voteranno mercoledì il governo ribadisce almeno per ora che il Def di aprile manterrà l’obiettivo di riportare il disavanzo all’1,8% l’anno prossimo, per arrivare all’1,4% nel 2022. Tanta ambizione, forse inevitabile in questa fase per non mettere troppe variabili su un tavolo già affollato di incognite, determina però un’ipoteca da almeno 35 miliardi sui conti dell’anno prossimo. Al netto di una possibile recessione da coronavirus. E di eventuali nuove misure espansive per provare a ridare fiato all’economia.
La cifra, prudenziale, è figlia delle cifre ufficiali della finanza pubblica tracciate proprio a Via XX Settembre. Con i 6,35 miliardi di disavanzo per finanziare le prossime misure anti-crisi, che Gualtieri dettaglierà martedì nel suo primo intervento parlamentare da quando è iniziata la crisi sanitaria, il saldo di quest’anno viene ritoccato fino ad arrivare al -2,5 per cento. Ipotizzando di chiudere l’anno davvero a questo livello, mettendo da parte il rischio di un peggioramento ulteriore dei conti pubblici per l’effetto recessione, centrare l’obiettivo 2021 impone una correzione da 5,6 miliardi in più rispetto a quella prevista fin qui. Perché il tracciato dell’ultima Nadef prevedeva per il prossimo anno uno scalino da quattro decimali di Pil, dal 2,2% all’1,8%, che nel nuovo quadro con disavanzo al 2,5% diventano sette. 
Il grosso dello sforzo necessario a seguire questa parabola è per ora affidato alle clausole su Iva e accise, da 20,1 miliardi sul 2021. Ma gli aumenti Iva, indigeribili per la politica anche in tempi normali, diventano ancora più improponibili quando la stagnazione corre il rischio concreto di trasformarsi in recessione. Per evitarli senza ripensare il percorso del deficit quindi servirebbero coperture alternative per 20,1 miliardi. Che sommati ai 5,6 di correzione aggiuntiva fanno 25,7.
Ma non è finita. Perché lo stesso Mef, rispondendo alle analisi di Inps e Upb, ha riconosciuto che per confermare nel 2021 l’impianto attuale del taglio al cuneo fiscale serviranno due miliardi aggiuntivi. E siamo a 27,7. Per completare il quadro di questa ipotetica “manovra minima” obbligata, che cioè non tiene conto di eventuali misure aggiuntive decise dalla politica, bisogna richiamare gli almeno 2 miliardi di spese indifferibili, da rifinanziare ogni anno, e la conferma di bonus e sconti fiscali come quelli per le ristrutturazioni, il risparmio energetico e gli investimenti delle aziende nell’ambito di Impresa 4.0. Un rifinanziamento scontato, almeno per ora, dal momento che nei ministeri si lavora anzi a un potenziamento di molti di questi aiuti fiscali.
In questo modo si arriva appunto intorno a 35 miliardi, tenendo conto anche del fatto che una parte delle misure in avvio per affrontare l’emergenza, per esempio le assunzioni di medici e infermieri, determinano una spesa che non può certo spegnersi a fine anno. Ma su questo calcolo pesano variabili ulteriori. Una è rappresentata dalla spesa per interessi. A settembre 2019, dopo settimane di rendimenti del decennale sotto l’1% e di spread oscillante fra i 130 e i 150 punti, il governo aveva messo in conto un leggero aumento di questa voce, che nel 2021 sarebbe arrivata al 3,7% del Pil dopo il 3,6% del 2020. Ma venerdì il differenziale con i bund ha chiuso a 180 punti, e il rendimento del Btp decennale ha toccato l’1,08%. Se la spinta al rialzo dovesse continuare, anche la previsione di spesa sarebbe da rivedere.
Ma l’incognita più pesante è quella legata all’andamento del Pil. Perché il quadro di finanza pubblica disegnato dalla Nadef 2019 poggia su una crescita dello 0,6% ormai considerata irraggiungibile. L’aggiornamento delle previsioni ufficiali sarà elaborato nelle prossime settimane, in vista del Def, e come ribadito dal ministro dell’Economia Gualtieri è al momento impossibile quantificare con un minimo di solidità gli effetti economici del coronavirus: ed è quindi altrettanto complicato calcolare quanto della spinta alle entrate che ha permesso di chiudere il 2019 con un deficit all’1,6% anziché al previsto 2,2% si ripeterà quest’anno dando un nuovo aiuto ai saldi. È quindi presto per inserire anche questi elementi nel conto. 
Ma con una crescita intorno o poco sotto allo zero, come prospettata dai più prudenti fra i report degli ultimi giorni, il deficit salirebbe di altri 2-3 decimali, cioè fra i 3,6 e i 5,4 miliardi. Con il -0,5% ipotizzato venerdì da Moody’s, il disavanzo aggiuntivo sarebbe invece di sei decimali: 11 miliardi.