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 2020  marzo 08 Domenica calendario

La barba di Moscardelli

Pallavolo in tv, sabato: Cisterna-Verona. Niente pubblico. Dopo ogni palla a terra, favorevole o contraria non importa, i giocatori si stringono in un abbraccio collettivo, si toccano con le mani, tutte cose sconsigliate ai calciatori, perfino la stretta di mano all’arbitro. Non capisco. Ma, in tempi di coronavirus, ci tengo a ringraziare pubblicamente (8) Marco Togni, il sindaco di Montichiari (Brescia). Ha vietato il gioco di carte nei bar e la lettura dei quotidiani leccandosi il dito per girare pagina. Con un’ordinanza ha richiesto la presenza di una soluzione disinfettante accanto al tavolino dove si leggono i giornali. Al posto suo, molti altri sindaci avrebbero vietato i giornali.
Un’ordinanza mi porta a un editto. Andrea Agnelli è certamente uomo calato nel presente, ma credo che a volte rimpianga i tempi in cui avrebbe potuto chiamarsi Andrea III, così come c’erano Enrico IV, Carlo V e Luigi XII. Un bell’editto e si vietava l’ingresso nella capitale ai villani, ai bifolchi, ai questuanti, alle meretrici. Con l’Atalanta e la Champions non si può fare, o non ancora, ma come cantava Nicola Arigliano «è solo questione di tempo». Oppure, come canterebbe Marco Masini, «perché lo fai?». Una possibile risposta: perché ad Andrea Agnelli non piace essere voce del coro ma andare controcorrente. In questo periodo tutti lisciano il pelo all’Atalanta, a Gasperini, a Percassi, a Ilicic, al Papu, quindi lui fa un’uscita sorprendente appellandosi alla storia: con tutto il rispetto, perché l’Atalanta è in Champions e la Roma no? Perché l’Atalanta è arrivata terza in campionato, ha fatto più punti della Roma e non ha rubato il posto a nessuno. Perché le regole d’accesso sono queste, almeno finché non cambieranno in peggio. Come quando si decise che non solo chi aveva vinto il campionato poteva partecipare, ma anche la seconda, la terza, la quarta in classifica. Per le più ricche di storia, di tifosi e di quattrini (spesso le tre cose coincidono) è prevista una rete di sicurezza, un cammino quasi garantito mentre i villici sul campo insistono a cercarsi un posto al sole. Più che un’uscita, quella di Andrea Agnelli è un’entrata a gamba tesa su quel che sopravvive dell’idea di sport. Però fa piacere leggere che ha telefonato a Percassi, presidente dell’Atalanta, e che tra i due c’è stato chiarimento franco e totale. Mentre scrivo resta da chiarire se le partite saranno trasmesse in chiaro oppure no. Al chiaro sono favorevoli il Governo e la Federcalcio, in Lega si discute. Se posso parafrasare Lineker, sempre che questa frase arcinota sia da far risalire a lui («Il calcio è uno sport dove si gioca in undici e alla fine vincono i tedeschi»), la Lega è un posto dove si discute sempre, anche pesantemente, e alla fine si fa quello che dice Lotito.
Sui campi di calcio, ma forse è solo una mia impressione, noto un numero molto ridotto di teste rasate, alla Zaza per capirci, rispetto a qualche anno fa. E molti più barbuti, barbe di pochi giorni o di qualche anno. Cosa c’è alla base di questo prepotente ritorno del pelo? Non lo so. So che il recordman italiano, ma forse anche europeo e mondiale, è Davide Moscardelli detto Mosca, romano, 40 anni, attualmente al Pisa, più panchina che campo. «Sono un uomo-spogliatoio. Scherzo, faccio battute. Oggi che sono vecchiotto cerco di dare buoni consigli ai più giovani. Se non gioco rosico ma non lo do a vedere, perché non è bello per il compagno che ti sostituisce». Il virgolettato, come altri che seguono, è tratto da Sportweek di ieri. Moscardelli non ha mai misurato la lunghezza della barba, ma ricorda che non si rade dal 2 febbraio 2013. Si considera una mosca bianca? «Penso di sì. Almeno nel senso che non c’entro niente col grande calcio, inteso come ricchezza ed esposizione mediatica. Del mondo del calcio non mi va giù l’ipocrisia, anche a proposito dell’omosessualità. E girano troppi soldi, ma di sicuro non li ho presi io. L’ingaggio più alto che ho avuto è stato di 250 mila euro al Chievo e al Bologna. Mia moglie è una dipendente statale, normalità per me è svegliarsi e portare i bambini a scuola, tornare a casa e rimettere a posto la cucina perché Guendalina è andata a lavorare presto, fare una piccola spesa da lasciare nel frigo e ripartire per Pisa». In A è arrivato a 30 anni, è pieno di tatuaggi (una mosca sul ginocchio, altri dedicati a Totti e De Rossi), mi piace perché parla di tutto liberamente, anche dei suoi ingaggi, e si merita un 8 per come risponde all’ultima domanda dell’intervista: come vorresti essere ricordato a fine carriera? «Già che mi ricordino andrebbe bene».
A ngolo della poesia. “U ialle” di Albino Pierro, nato a Tursi (Matera) e più volte candidato al Nobel. “U ialle è cantète/ che aspèttese?/ Jesse dafòre e zumpa:/già nd’i strète/ di stu paise zinne c’è nu sòue/ca sànete i cichète”. Traduzione. “Il gallo”.“Il gallo ha cantato/che aspetti?/ Esci di fuori e salta:/già nelle strade/di questo paesello c’è un sole/che guarisce i ciechi”.