la Repubblica, 8 marzo 2020
Woody a pezzi
Anche l’America ha il suo “appestato”. E da prima che dilagasse il coronavirus. Il suo nome è Woody Allen. Era sembrato che la quarantena per lui fosse finita con la mancata distribuzione in patria del film Un giorno di pioggia a New York. L’autobiografia, inizialmente rifiutata da quattro editori, era stata annunciata per il 7 aprile. Titolo: A proposito di niente. A proposito di libertà, l’editore statunitense ha fatto marcia indietro, lasciando onori e oneri a quelli europei (Hachette in Francia lo ha bloccato, in Italia i diritti sono della Nave di Teseo). È una vicenda paradossale che confonde una battaglia collettiva con una bega familiare, la certezza del diritto e la varietà delle opinioni, il relativismo di un’autobiografia e la pretesa di verità di una narrazione oggettiva. Alla fine, con un ultimo effetto perverso, fa dimenticare che occorre coraggio per accusare, ma altrettanto per difendere.
Al centro di tutto questo, un omino nevrotico di 84 anni che per tre decenni è stato considerato un genio alla quasi unanimità e alla stessa maniera da egual tempo viene reputato un demone. Anche questo non gli aveva impedito nulla finché il suo stesso figlio anagrafico lo ha trascinato nella bagarre del #metoo, insieme con predatori dello spettacolo che utilizzavano potere e narcotici per ottenere sesso. Ma che colpa ha Woody Allen?
Il suo peccato originale data 1992, anno in cui la ex compagna Mia Farrow scopre il suo tradimento. La loro è di per sé una storia particolare, che non bisogna sforzarsi di capire, ma solo di accettare. Vivono separati da Central Park. Lei è stata sposata prima con Frank Sinatra (di trent’anni più vecchio), poi con il compositore André Previn, con il quale ha fatto tre figli e tre ne ha adottati, tra cui la coreana Soon-Yi, di età imprecisata. Lei e Allen adottano altri due bambini (Dylan e Moses) e ne hanno uno loro (Ronan) di cui lei dirà più tardi (per sincerità e/o per vendetta) che è figlio di Ol’ Blue Eyes, di cui ha in effetti gli occhi. Siamo già ai confini dell’assurdo. Vengono valicati quando si scopre che l’amante di Woody è Soon-Yi, la figlia adottiva di Mia, da lui più che accolta. In quel momento Woody ha 57 anni, Mia 47, Soon-Yi forse 19, Dylan 7, Ronan 5. E questo spiegherà molto di quel che accadrà.
In tutta la vicenda il più coerente è proprio Woody Allen. Il paradosso delle sue scelte sentimentali non è altro che la trama ripetuta dei suoi film. Si è sempre fatto beffe della sua religione. Si è sempre fatto beffe dell’amore. Ha concepito un dio non karmico, che chiude gli occhi di fronte al bene e al male e un amore multiverso, che scopre universi paralleli e ci naviga. Il suo manifesto è una pellicola del 2009 dal titolo Basta che funzioni in cui i personaggi sperimentano ogni tipo di relazione: con età più da padre e figlia (ma già nel glorificato Manhattan il rapporto era 42 a 17), a tre, convertendosi all’omosessualità. Se funziona, se dura, quando è così difficile evitare separazioni e traumi, che problema c’è? «L’amore è la risposta, ma in attesa il sesso può suggerire ottime domande». Woody Allen è stato una continua domanda, Soon-Yi la risposta che pareva (anche a lui) temporanea, ma sono sposati da 23 anni. Probabile che abbia anche influito la necessità di dare un senso a posteriori a qualcosa di tanta portata. Alla fine quasi tutti, pur scuotendo la testa, se ne son fatti una ragione. La donna di 47 anni no. Il bambino di 5 anni legato alla madre ancor meno. Dylan è stata l’arma del duello. Alla vigilia della decisione sull’affidamento dei figli la madre adottiva ha prodotto una registrazione in cui accusava il padre di molestie. Quella versione è stata modificata, riconfermata, dimenticata, riesumata. Qualcuno l’ha creduta, altri hanno pensato fosse generata dalla situazione traumatica, altri ancora l’effetto di un plagio materno. O un terribile misto. Il racconto dei fatti riproduceva il testo di una canzone, Daddy in the attic, papà in soffitta, cantata da Dory Previn, ex amica di Mia, ex moglie del suo secondo marito.
A rifarne un successo è stato il figlio di Allen (o di Sinatra), divenuto un giornalista d’assalto (Premio Pulitzer nel 2018, ndr ) il più efficace nello smascheramento dei predatori sessuali. Non fosse che l’accusa contro Woody era già caduta. Con formule ambigue, ma comunque determinanti non luogo a procedere. Nel calderone degli ultimi anni si sono confusi e livellati i ruoli e le responsabilità. I rapporti del regista Roman Polansky con una dodicenne sono stati accertati e ammessi. Lo scrittore francese Gabriel Matzneff ha fatto per anni l’elogio scritto della pedofilia, prima di essere distrutto da un libro altrui. Se non ci fosse stata la vicenda di Soon-Yi ci sarebbe mai stata quella di Dylan? E se ci fosse stata solo la seconda, il mondo avrebbe mai dubitato di Woody Allen?
Già l’America, a eccezione di New York, non capiva la sua filosofia del “basta che funzioni”. Ora anche chi gli resta accanto, se lo abbandona perfino il New Yorker ? Solo Stephen King, isolato nel Maine, non ha avuto paura di dire che la decisione di non pubblicare l’autobiografia lo “inquieta”. E per il nuovo film Woody è ancora esule in Europa, a San Sebastian, con attori spagnoli. C’è chi ha sostenuto che il #metoo, come ogni movimento rivoluzionario, ha necessità fisiologica di eccessi, di far rotolare qualche testa sbagliata. E se fosse una con gli occhialetti, che ci fa sorridere da una vita?