Il coronavirus si indebolirà con la stagione calda? «Nessun segnale indica che in estate sparirà come la normale influenza», avverte l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Alcuni indizi però suggeriscono che la primavera giochi al nostro fianco. I contagi virali sono più efficienti con il freddo e il clima secco. L’epidemia di Sars, nel 2003, si arrestò con la bella stagione. L’organismo con il caldo si difende meglio dalle infezioni delle vie aeree. «E stanno diminuendo i casi di influenza — fa notare Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità — che danno sintomi simili al coronavirus e confondono le diagnosi». Nessuno di questi fattori da solo può arrestare un virus nuovo, che trova il sistema immunitario sguarnito. Ma ogni aiuto, in questa fase, è ben accetto.
Non abbassare la guardia
«L’Oms parla al mondo intero, mentre la primavera è in arrivo solo nel nostro emisfero», fa notare Giancarlo Icardi, che insegna Igiene all’università di Genova. «Il messaggio per tutti è di non abbassare la guardia. Il caldo da solo non basterebbe comunque ». L’organizzazione di Ginevra e il suo direttore, l’etiope Tedros Adhanom Ghebreyesus, da qualche giorno sono impegnati poi in una schermaglia con il presidente Usa Donald Trump, che aveva minimizzato dicendo: «Il virus scomparirà con l’estate come un raffreddore». Troppo ottimismo rischia di indebolire il contenimento. «Ci sono Paesi che prendono l’epidemia sotto gamba », ha redarguito Ghebreyesus.
Il precedente della Sars
L’epidemia di Sars è “sorella maggiore” dell’attuale. I due coronavirus condividono il 79% del genoma. Comparve nel Sud della Cina nel novembre 2002, in un inverno molto secco. Anche nello Hubei quest’anno si è toccato il minimo di pioggia degli ultimi 40 anni. L’ International Journal of Environmental Research ha pubblicato il parallelo fra i fattori ambientali delle due epidemie: nell’aprile 2003 la Sars inizia a frenare. In luglio l’epidemia è contenuta. «Ma attenzione», avverte Icardi. «Furono prese misure rigide di igiene e contenimento. Il caldo può aver aiutato, ma non è stato decisivo».
Loro, creature del freddo
La Sun Yat-Sen University in Cina ha messo a confronto le temperature di oltre 400 città in Cina durante la quarantena di gennaio-febbraio e i contagi, osservando che nelle giornate rigide l’epidemia viaggiava un po’ più veloce. «I virus amano il freddo », conferma Giorgio Palù, virologo dell’università di Padova. «Quando abbiamo la febbre, la temperatura si alza anche per bloccare la loro replicazione. Uccelli e pipistrelli, che raggiungono i 40 gradi, ospitano i virus come serbatoi, ma senza ammalarsi». Una temperatura sopra ai 21 gradi rende i microbi progressivamente meno attivi. «I 4 coronavirus che nell’uomo causano il raffreddore si diradano d’inverno», nota Palù. «Per conservarli, in laboratorio, li teniamo in freezer a — 80°C».
Noi, avvantaggiati dal caldo
Il nostro organismo, viceversa, ha difese più efficaci col caldo. «Il sistema immunitario funziona meno d’inverno», dice Palù. «Il muco nelle vie aeree è meno fluido e le ciglia che ci proteggono dai microrganismi esterni sono meno mobili». Il terzo coronavirus del nuovo millennio, la Mers, potrebbe sparigliare le nostre convinzioni, essendo nato nel 2012 fra i dromedari in Medio Oriente. «Ma non si è mai trasmesso da uomo a uomo in modo efficiente», fa notare Icardi. «Potrebbe essere l’eccezione che conferma la regola».