A differenza di altre ricche vedove che adoperano i loro soldi per comprarsi gioielli e gigolò, la soave Estelle scelse di usare la sua eredità per acquistare libri rari. Come è risaputo, si presume che il libro più raro sia la Bibbia di Gutenberg, di cui risultano sopravvissute integre soltanto quarantotto copie. Estelle Betzold Doheny ne desiderava una e, come sempre accade ai milionari, la milionaria ottenne quello che voleva.
Il 14 ottobre 1950, la Bibbia Gutenberg Numero 45 arrivò a Los Angeles e Doheny e la sua segretaria la spacchettarono con grande cautela. Di certo, quello non fu l’ultimo capitolo della storia assai movimentata del volume né, ovviamente, il primo. Dopo essere uscita dal laboratorio di stampa di Gutenberg a metà dell’agosto 1456, quella copia della Bibbia era passata per le mani di vari lettori — ecclesiastici, banchieri, bibliofili, finanzieri, politici, imbroglioni, librai e battitori d’asta — e giunse infine tra quelle dell’unica collezionista di libri ad aver mai posseduto una Bibbia di Gutenberg. Poi, dopo la sua morte, entrò nell’èra digitale e fu analizzata da potenti strumenti che, con le capacità di uno Sherlock Holmes, riuscirono a determinare con precisione su quale carta fosse stata stampata e in quale sequenza fossero state pubblicate le varie parti delle Scritture. Habent sua fata libelli. I libri hanno il loro destino. È proprio vero.
Il libraio Bernard Quaritch, uno dei personaggi di questa opera teatrale in più atti, spiegava la sua passione in questi termini: « L’amore per i libri non solo rende felici, ma allunga la vita. È molto meglio godere dei piaceri della bibliofilia che cadere vittima dei dottori » . È proprio vero. Eppure, oltre a confermare la singolare passione che i libri rari scatenano nel cuore di collezionisti convinti, la storia della Bibbia Gutenberg Numero 45 ( raccontata da Margaret Leslie Davis con grande piacere per i più piccoli dettagli) esemplifica le vicende di tutti i libri. Incalcolabili come le foglie d’autunno alle quali Omero paragonava le generazioni umane, i libri nascono, vivono e fin troppo spesso scompaiono in modi segreti, talvolta più affascinanti e pericolosi di quelli di Ulisse o di Marco Polo. Ogni libro presente in questo momento sul vostro scaffale ha una storia che rivelerà soltanto al più inquisitore dei cronisti. Ogni biblioteca racchiude storie tumultuose, in qualche caso simili a quelle di Grecia o Cina.
Una delle più commoventi tra le avventure di vita vissuta che conosco riguarda il libro meglio noto come Haggadah di Sarajevo. Il 25 agosto 1992, l’esercito serbo bombardò di proposito la Biblioteca nazionale di quella città e distrusse più di un milione di libri e oltre centomila manoscritti inestimabili. Tra i pochi tesori scampati per miracolo alla devastazione c’era un famoso manoscritto miniato ebraico, l’Haggadah di Sarajevo, realizzato in Spagna verso la fine del XIII secolo o all’inizio del XIV. Il volume era già sopravvissuto non a una, bensì a molte catastrofi. La prima durante la cacciata degli ebrei dal Regno di Spagna cinque secoli prima del bombardamento di Sarajevo. Un pio lettore, costretto ad abbandonare la Spagna natia, portò con sé la preziosa Haggadah e trovò rifugio, insieme ad altri ebrei sefarditi, a Sarajevo, a quei tempi facente parte dell’Impero ottomano e dove in seguito, nel 1914, sarebbe stato assassinato l’Arciduca Ferdinando, episodio che fece scoppiare la Prima guerra mondiale.
Alcuni decenni dopo, durante la Seconda guerra mondiale, l’Haggadah fu salvata di nuovo, in quel caso da un bibliotecario musulmano della città che la nascose dalle perquisizioni dei nazisti decisi a distruggere tutti i libri ebraici.
Sette anni dopo il bombardamento serbo di Sarajevo, nella primavera del 1999, accadde quanto segue: tra le migliaia di musulmani ( o cittadini “ di etnia albanese”, come erano chiamati) espulsi dal Kossovo dai serbi, c’era una donna che si era portata dietro un foglio di carta scritto in ebraico. Pur essendo incapace di leggerne il contenuto, l’aveva conservato per motivi sentimentali, perché era appartenuto a suo padre. Una volta arrivata con molti musulmani in un campo profughi sull’altro versante del confine macedone, la donna decise di mostrare il foglio ad alcuni membri della comunità ebraica di una cittadina nella quale si trovò a pernottare. E lì accadde qualcosa di magico. Si scoprì che quel pezzo di carta era stato consegnato dal governo israeliano al padre della donna, un bibliotecario che non soltanto aveva salvato l’Haggadah, ma aveva anche offerto protezione e nascondiglio a casa sua a molti ebrei jugoslavi durante le purghe naziste. La figlia dell’uomo che si era comportato da eroe durante la Seconda guerra mondiale era vittima a sua volta di un altro gesto di violenza crudele. Non appena la sua identità divenne nota, la donna fu fatta uscire dal campo profughi e con i familiari salì su un aereo diretto in Israele. Lì fu accolta da un vecchio che l’abbracciò con le lacrime agli occhi. Le disse di essere il figlio di uno degli ebrei a cui il padre bibliotecario aveva salvato la vita. « Mio padre fece quel che fece perché era un uomo di buon cuore, non per ricevere qualcosa in cambio » cercò di spiegare la donna in seguito. « Adesso, a cinquant’anni di distanza, in un certo senso però quel qualcosa è stato restituito. È come se adesso si fosse chiuso un cerchio » .
Questo è il cerchio che ogni biblioteca traccia, così come ogni suo libro, che si tratti della Bibbia Gutenberg o del più umile dei tascabili. Quel cerchio si estende ben al di là delle mura di una biblioteca e delle copertine di un volume, al di là del tempo in cui la biblioteca esiste e del periodo in cui il libro è letto. Quel cerchio comprende sia coloro che leggono sia coloro che non leggono, perché, come fece notare Borges, biblioteca è solo uno dei tanti nomi che diamo all’Universo.
(Traduzione di Anna Bissanti)