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 2020  marzo 07 Sabato calendario

Duck-hee Lee, il tennista sordo

Pugno contro pugno con il numero uno azzurro Fabio Fognini, alla fine, come le regole del tennis all’epoca del coronavirus impongono (strette di mano vietate), Duck-hee Lee accenna un inchino nel vuoto pneumatico dello stadio di Cagliari in cui l’Italia di Coppa Davis, a porte chiuse, ipoteca la qualificazione alle finali di Madrid: 2-0 alla Corea del Sud, e oggi si chiude con il doppio.
Cappellino alla maniera dei ciclisti, 21 anni, n.251 del mondo, Lee è sbarcato sull’isola preceduto dal mantra che pronuncia con fatica, però senza mai tremare: «Leggo la compassione negli occhi degli altri per il mio handicap. In verità io lo vedo con un vantaggio, un dono speciale. Niente, infatti, può distrarmi: né i rumori né il tifo, quando c’è, e nemmeno gli aerei che sorvolano New York. Posso concentrarmi solo sul mio gioco». Duck-hee Lee non sente, è sordo dalla nascita. Legge il labiale, vede i giudici di linea che chiamano fuori le palle e quella volta proprio in Coppa Davis, Corea del Sud-Uzbekistan contro Istomin, febbraio 2017, aveva continuato a giocare nonostante l’arbitro avesse gridato «out!» non per spirito di ribellione ma perché non si era accorto della chiamata. Benché anche il New York Times si sia occupato della sua storia di atleta paralimpico piena di messaggi positivi, non tutti nel circuito sono a conoscenza del deficit. In campo c’è chi continua a parlargli: «Allora io mi indico l’orecchio, per far capire che sono sordo. Non voglio compassione. Né essere trattato come un diverso. Sono un giocatore di tennis».
La Federtennis italiana, che organizza la Davis a Cagliari («Torneremo con Berrettini e Sinner» promette il presidente Binaghi agli appassionati delusi dalla necessaria serrata) si era posta il problema: Lee necessita di un traduttore del linguaggio dei segni? No grazie, ha risposto il ragazzo di Jacheon, l’aspirante stregone cresciuto nel mito di Roger Federer che nell’agosto dell’anno scorso ha ottenuto la prima vittoria nel tabellone principale di un torneo Atp in Carolina del Nord. Mai un giocatore non udente era riuscito nell’impresa. Sa capire e farsi capire, Duck-hee, con i compagni di squadra comunica attraverso una chat di WhatsApp e con il coach, suo cugino Chung-hyo Woo, s’intende con uno sguardo. Il senso di Lee per il tennis – e per la vita – è merito dei genitori: Mi-ja Park e il marito Sang-jin Lee si erano accorti subito che quel figlio primogenito, nato il 29 maggio 1998 mentre lui assolveva il servizio militare obbligatorio, aveva delle difficoltà. All’età di 2 anni, la diagnosi di sordità era definitiva. A 4 frequentava un istituto per bambini disabili a Chungju la mattina e una scuola per normodotati il pomeriggio: «Non volevamo che crescesse separato dal mondo – ha raccontato la mamma di Duck-hee —, né che conoscesse solo il linguaggio dei segni. Il nostro scopo di genitori era renderlo indipendente». Missione compiuta, complice il ruolo dello sport come straordinario strumento di integrazione. «Più che aiutarlo a battere Djokovic e Nadal, il mio ruolo è agevolarlo nel vivere una vita normale» sottolinea l’allenatore.
In uno sport in cui la coordinazione palla-occhio è fondamentale, anche il senso dell’udito gioca un ruolo importante: sentire il suono della palla permette reazioni più veloci. Gli studi scientifici dimostrano che il tempo di reazione a uno stimolo uditivo (140-160 millisecondi) è più immediato di quello a uno stimolo visivo (180-200 millisecondi). «Lee è fenomenale – conferma l’americano Andy Roddick, ex n.1 del mondo – perché ascoltare la palla, che produce un suono diverso a seconda che sia colpita piatta, in slice, in back o in top, fa parte integrante del processo di reazione». «Usare occhi e orecchie ci aiuta a scegliere quale colpo giocare e quale velocità imprimergli» conferma Andy Murray, due volte re di Wimbledon.
Il coraggio con cui Duck-hee Lee ha abbracciato il suo handicap gli ha procurato un contratto con Hyundai, l’ammirazione dei colleghi, la prospettiva di un’esistenza che sembrava preclusa. E quel pugno contro pugno con Fabio Fognini al termine del match di ieri, codice d’accesso al mondo dei super professionisti del tennis, un gesto che vale più di tante parole.