Avvenire, 7 marzo 2020
I 100 anni dalla nascita di Tonino Guerra
Nel 2020 ricorre un doppio anniversario, centenario della nascita di artisti amici, coetanei conterranei e sodali che, forse anche perché provenienti dalla realtà del grande schermo, ottennero in vita onori e notorietà. È stato festeggiato da poco in pompa magna il compleanno di Federico Fellini; è facile immaginare che sarà presto celebrato Tonino Guerra (Santarcangelo di Romagna 16 marzo 1920-21marzo 2012). Accade però a ogni anniversario, quando si tratti di nomi illustri, di lasciarsi prendere dalla suggestione delle celebrazioni con il rischio di smarrire il senso del discernimento. Ci sono ambiti o motivi per cui quell’immaginario che è celebrato come suprema arte non corrisponde in tutto alle attese, aspetti del loro immaginario che per varie ragioni non soddisfano? Forse sul piano dell’universo femminile non sarebbe fuori luogo puntualizzare alcuni elementi di quel sentire che possono anche urtare una certa sensibilità, in particolare se si assume lo sguardo di una donna. Non per moralismo, ma per un certo fastidio suscitato da quella sorta di ossessività dello sguardo che relega la donna in uno spazio angusto, sia pure metaforico, oggetto del desiderio e dell’istinto di dominio dell’uomo, anziché soggetto di libero pensiero e libera azione.
Da questo punto di vista risulta senza dubbio di particolare interesse l’opera di Tonino Guerra, poeta, pittore, scultore, paesaggista, sceneggiatore. Per anticipare visivamente l’universo femminile in quello che ci appare come ultimo approdo del suo immaginario basterebbe forse richiamare visivamente alcune realizzazioni pittoriche divenute poi quasi emblemi della sua produzione figurativa, di cui la «venditrice di farfalle» – dalla suggestiva narrazione di un lontano viaggio – pare forse la più eccentrica, ma felicemente si accosta a numerose altre immagini femminili, ritratte con alti cappelli, attorniate da lucciole o api. Apparentemente un po’ naïf, queste sono in realtà giocose, non ingenue, e riconducibili a una visione del femminile più delicata di quanto non si trovi nella gran parte della sua produzione dalla giovinezza alla vecchiaia.
Lo sguardo dell’autore sul femminile non si distoglie mai a dire il vero dalla corporeità. E la donna è vista per lo più come oggetto di piacere in una reciprocità attiva che la coglie di solito seduttrice: a parte la madre, le donne di Guerra sono in genere istintive, il loro godimento sta essenzialmente nella seduzione. Poi però nel tempo l’autore matura un atteggiamento di tenerezza, che prima si manifestava in rapporto alle cose. La prima poesia dedicata alla sua donna – “La mi dona”, della raccolta La s-ciuptèda( 1946) – affonda nella cultura anche un po’ rude della romagnolità di una volta, dove tutto ruotava intorno all’uomo, in funzione di lui: fosse pure un’azdóra, l’azione di lei era relegata tra le mura domestiche. E per un tempo lunghissimo lo sguardo dell’autore sul femminile si àncora alla fisicità, spesso in modo ossessivo. Il femminile rappresenta il lato oscuro del maschile, una sua polarità, dato il potenziale di attrazione che esercita. Nelle varie tappe del progressivo mutamento si passa però poi attraverso la percezione di una sacralità della vita della quale la corporeità femminile è resa partecipe. Questo accade già ne È mél (Il miele), il primo dei poemi che per il linguaggio resta tuttavia ancorato a quella rude terrestrità, un po’ mascherata dal dialetto, per chi viva fuori (non per il lettore nativo del luogo al quale non può sfuggire l’insistenza di quel parlato anche scurrile, e persino sguaiato).
Dal momento in cui egli assume la forma poematica, di poema in poema si percepisce una tenerezza crescente che dal rapporto con le cose si estende anche al rapporto con l’universo femminile. Ferma restando una certa licenziosità del pensiero, che l’artista rivendica ovviamente alla libertà creativa, il mutamento più significativo si deve all’in- contro con la cultura russa cui lo condusse il matrimonio con la seconda moglie, Lora, e ai viaggi insieme con lei in Oriente.Le prime opere letterarie di Tonino Guerra non rimandavano della donna una visione particolarmente alta. Ne “La mi dòna” non si dice nulla di lei, se non alcune inclinazioni nei riguardi di lui, senza la minima preoccupazione di salvaguardare l’intimità: «A lei piace il mio vestito blu /e alla domenica se posso lo metto /perché ci tengo anch’io a figurare. /A lei piace come mi muovo, se parlo, /se alzo un braccio oppure se discuto /a voce alta nel caffè. A lei piace /se ce ne andiamo a letto /con la voglia /purché non si faccia tutto in un baleno» – Questa versione in lingua, di Roberto Roversi, recepita dall’originale nel volume Bompiani dell’opera omnia, non è in vero del tutto fedele al testo in dialetto, ma non tradisce il senso.
Più tardi prenderà decisamente il sopravvento la giocosità della fantasia nel concerto delle diverse forme artistiche, prevalentemente visive, alla ricerca di un fantasmagorico immaginismo; ed è la ragione per cui come per Fellini anche per Guerra si parla di realismo magico.
Il fiabesco in Guerra è molto diverso dal fiabesco di Cristina Campo. Attraverso l’arte egli intende suscitare il godimento di una bellezza anche illusoria, senza interrogarsi troppo sull’antinomia di quel mistero che la bellezza esprime. Il contatto con la cultura russa, però, l’esperienza del Sacro che attiene a quella tradizione, la spiritualità orientale ne hanno sicuramente affinato la percezione del reale come mistero, e le relazioni. Anche con la donna. L’uomo Tonino Guerra è sempre alla ricerca di uno spazio da abitare, sempre spaesato e ospite, sempre in movimento, in partenza o di ritorno, nello struggimento della nostalgia. Una poesia dell’ultimo dei poemi, “Una foglia contro i fulmini”: «Delle volte capitava che facevamo /colazione insieme e io mettevo /un cucchiaio di zucchero nel suo tè /e lei faceva lo stesso nel mio caffelatte. /Una mattina coi fiori dei mandorli /che piovevano nel cortile come fosse /neve, lei mi ha detto: “Ricordi / quando a Mosca facevamo la colazione /in piedi davanti alla finestra /e buttavamo le molliche di pane ai /passerotti che stavano fuori sotto la neve?».
All’appressarsi dell’ultima soglia, in un mondo che si percepisce in disfacimento – incombente la morte sull’uomo non meno che sulle cose – la donna per la comunione che riesce a vivere con la natura pare fatta partecipe di una qualche rivelazione naturale, all’uomo donata per ricaduta. Ma è sogno o realtà quel pulviscolo di luce o di materia viva e pulsante che a tratti lo raggiunge, magari tramite lei? Nell’ultimo dei poemi a un certo punto la protagonista femminile vive un’intesa edenica, una sorta di pacificazione tra mondo umano e animale che non è cosa ordinaria, accade ai santi per tradizione. Sono i padri del deserto a essere rappresentati con accanto le fiere amman-site, o San Francesco assieme a fratello lupo... La giovane donna di questo poema, devotamente inchina al prodigio dell’erba luisa quando al sorger della luce emana il suo profumo di limone dall’interno della piccola chiesa dei carbonai semidistrutta e abbandonata, è detta ’signora’, anzi Signora al maiuscolo, nonostante le fragilità della sua mente... Proprio lei, la Signora, a un certo punto s’accorge che una volpe la segue ovunque vada, che lucciole le s’accendono intorno. E dunque quel fiabesco del femminile esprime qualcosa di più di una primitività naïf: lo precede un’intuizione di sacralità creaturale da inseguire...
Il titolo dell’opera omnia di Tonino Guerra – uscita nel 2018 per la cura di Luca Cesari con una ottima cronologia di Rita Giannini – estrinseca la domanda interiore da cui scaturisce il lavoro incessante di una vita: L’infanzia del mondo. Il bambino che c’è in ogni poeta, libero dai condizionamenti dell’età adulta, capace di stupirsi della bellezza del creato e di spaziare con la fantasia oltre i confini della realtà, abile a creare mondi a sua volta..., può tuttavia irretirsi nell’illusorio se all’infanzia non si associa l’innocenza che in origine le appartiene. C’è un femminile che può salvare? Se si cercasse un femminile salvifico nell’opera poetica, ci si dovrebbe arrestare a quel punto: una sorta di rivelazione naturale che respira la sacralità della vita senza pervenire a quella Rivelazione che nostalgicamente l’autore sente propria alla madre, la quale serviva Messa in latino, ogni mattina all’alba, presso l’Ospedale di Santarcangelo.
È dalle pagine della vita che apprendiamo qualcosa di più in quella direzione. Tonino era un cercatore e tra i tanti amici ai quali era legato ci sono una donna – adoratrice di quel mistero della Bellezza che riverbera dall’oro delle icone, di cui i dipintori di icone si nutrono – e le sue sorelle. Quella Bellezza, insita nel messianismo del mondo ortodosso, dalla quale aveva tratto anche ispirazione, si è fatta prossima evidentemente anche per il tramite di altri volti di donna. Irresistibile il bisogno di vicinanza del Sacro, di cui si dà testimonianza – dal sito adoratrici. it – con l’ultima visita di sr. Gloria Riva, che ci rimanda un’immagine di uomo di ancora più compiuta profondità umana e spirituale.