Il Messaggero, 7 marzo 2020
Alessandro Manzoni nasceva 235 anni fa
Oggi ricorre l’anniversario della nascita di Alessandro Manzoni. Tutti ne riconosciamo l’importanza come poeta ispiratore del nostro Risorgimento, e come romanziere che ha ricostruito e consolidato la lingua italiana. Sua madre era Giulia Beccaria, figlia dell’autore del trattato Dei delitti e delle pene; il padre era probabilmente Giovanni Verri, fratello del noto illuminista Pietro. Quando il piccolo venne al mondo, nel 1785, il Conte Pietro Manzoni accettò il fatto compiuto con delicata imperturbabilità. Alessandro crebbe tra precettori religiosi e salottieri miscredenti; trasferitosi a Parigi con la madre, frequentò i superstiti tra i philosophes che nel secolo precedente avevano demolito le tradizionali certezze della Francia, ponendo le basi culturali per la successiva Rivoluzione.
Il giovane coniugò la scapigliatura irriverente con un libertinaggio dissoluto, ma presto cominciò a subire le tensioni esistenziali di qualche amico giansenista. Si riavvicinò alla religione e il 2 aprile 1810, durante un tumulto parigino, si rifugiò nella chiesa di St Roch. Qui, come sarebbe accaduto a Paul Claudel qualche decennio dopo a Notre Dame, ebbe una crisi mistica. Questa chiesa stupenda,(che reca ancora sulla facciata le tracce di una mitraillade ordinata nel 1795 da Napoleone contro la folla) contiene una lapide che ne ricorda la conversione. Da allora Manzoni si professò devoto credente ma non fu mai un bigotto; anzi, impersonò quel cattolicesimo liberale che, in termini politici, auspicava la libera Chiesa in libero Stato predicata da Cavour. Non si dedicò mai alla politica attiva, neanche quando fu nominato senatore.
I PERSONAGGII suoi interessi erano letterari, religiosi e psicologici: da questi interessi nacquero gli Inni sacri, le Tragedie, e naturalmente il più celebre romanzo italiano. I promessi sposi sono stati così spesso riproposti al cinema e in televisione, con interpreti più o meno credibili, che tutti ne conoscono la trama. E ognuno di noi ha simpatizzato, secondo i propri gusti, con i vari personaggi. Tra il malandrino incallito, rappresentato da Don Rodrigo, e il Santo redento, incarnato da padre Cristoforo, si agitano infatti le turbolenze di Renzo, i rossori di Lucia, le debolezze di don Abbondio, i pettegolezzi di Perpetua, l’avidità del Griso, l’untuosità degli osti, la violenza della folla, i tormenti dell’Innominato, il cinismo dei monatti, le perversioni di Gertrude, gli sproloqui di Don Ferrante, e le meschine attitudini di un’umanità essenzialmente egoista.
Sono decine di caricature che Manzoni tratta con aristocratica e amara ironia. Se Shakespeare ha dipinto l’eternità della natura umana, Manzoni ha qui squadernato la solidità dei nostri difetti. Il Paese comunque ne riconobbe il genio letterario e la coscienza civile, e quando morì, nel 1873, gli tributò onori regali, e Verdi gli dedicò il suo splendido Requiem. Lo studio delle sue opere fu imposto a tutte le scuole, e intere generazioni mandarono a memoria le sue poesie, i suoi cori e interi brani del Romanzo. Molti di questi brani oggi ci sembrano prolissi e stucchevoli, ma alcuni sono capolavori assoluti di eleganza stilistica e di corrosiva ironia. La nostra scettica modernità non apprezza più lo struggente Addio monti o la lacrimosa scena della madre di Cecilia, ma rimaniamo estasiati leggendo il dialogo tra il Conte Zio e il Padre provinciale, o scorrendo la biblioteca di Don Ferrante con le sue fake news planetarie sull’origine della peste. Una lettura obbligatoria anche oggi, nel dilagare del coronavirus.
LA VERSIONE DI SCIASCIANegli anni della nostra adolescenza, I Promessi sposi ci sono stati somministrati, e quasi imposti, con un commento che ne individuava il protagonista nella Provvidenza, e lo stesso Manzoni giustificava questa congettura con il suo finale vagamente ottimistico e pedagogico. Ma non è così. L’interpretazione giusta è quella che ne ha dato Leonardo Sciascia, nella sua limpida prosa voltairiana. Il vero protagonista è Don Abbondio, o meglio il sistema di questo parroco di campagna: quello della neutralità disarmata, che davanti alla prepotenza dei signori e alla cavillosità delle leggi, si rifugia in una servitù volontaria dalla quale esce sostanzialmente vincitore. E se alla fine Renzo e Lucia scappano dall’amato paesino, proprio quando le cose si sono appianate, Don Rodrigo è morto e il mandato di cattura è stato revocato, è proprio perché i due hanno pagato abbastanza, in sofferenza e paura, a questo sistema collaudato, e purtroppo ancora vivo e trionfante.
Ma l’attualità del Manzoni non risiede solo in questo amaro disincanto nel descrivere i nostri radicati difetti. Nella sua Storia della colonna infame, egli formula un severo atto d’accusa contro l’esercizio di un potere giudiziario minato dall’ignoranza e pervertito dal fanatismo. La vicenda è nota: due poveri disgraziati, visti da alcune donnicciole mentre camminavano aderenti alle case di una Milano flagellata dalla peste, sono accusati di propagazione malefica del morbo, processati, torturati, e alla fine giustiziati tra i tormenti.
IL BUON SENSOL’opera fu criticata da progressisti e conservatori; per i primi il nobile Don Lisander non era stato abbastanza radicale; per i secondi non aveva contestualizzato gli eventi, trascurando che a quel tempo credere agli untori era cosa ordinaria anche per gli intelletti più raffinati, e che i giudici erano uomini di profonda fede e integrità morale. Ed è questo il punto più spaventoso. Proprio perché quelle toghe erano animate dal perseguimento incondizionato del bene comune; proprio perché erano persone oneste, intelligenti e incorruttibili; proprio perché si sentivano investite della missione salvifica di individuare i colpevoli di una tragedia collettiva con qualunque mezzo e a qualsiasi costo; ecco, proprio per questo il racconto ci terrorizza quasi quanto la peste di allora e l’epidemia di adesso. La sostituzione del missionario al giudice e della vocazione palingenetica all’umiltà del buon senso sono aspetti ricorrenti nell’amministrazione della Giustizia. E quanto più il magistrato è sorretto da incrollabili convinzioni etiche tanto più rischia di precipitare nella buia caverna della giustizia sommaria, dove la verità non è cercata con i modesti mezzi della nostra ragione, ma costruita e formalizzata attraverso quattro buoni tratti di corda: ieri il supplizio della ruota, oggi la carcerazione preventiva o l’insidiosa diffusione di conversazioni segrete.
Per questo preferiamo oggi ricordare il nostro scrittore più celebre non per le odiose malefatte di Rodrigo o la provvidenziale conversione dell’Innominato. Ma per la sua appassionata denuncia dell’Ingiustizia Legale, che ne ha fatto, prima ancora che un illuminista convertito al cattolicesimo, un liberale che ha provato a convertire il cattolicesimo all’illuminismo.