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 2020  marzo 06 Venerdì calendario

Prestare o no le opere d’arte? E con quali limitazioni?

Come ci erano finiti, nel 1939, a San Francisco, la Madonna della seggiola di Raffaello, il Tondo Pitti di Michelangelo e la Nascita di Venere di Botticelli? Non si trattava di un furto, ma di una mostra allestita per motivi propagandistici alla Golden Gate International Exposition. Mentre il mondo era sull’orlo del precipizio, 27 capolavori del Rinascimento partirono da Genova sul transatlantico Rex, senza alcuna copertura assicurativa, per tornare in patria alle soglie dell’entrata dell’Italia in guerra. Una storia vera raccontata da Lorenzo Carletti e Cristiano Giometti in Raffaello on the road (Carocci, 2016). Scritto in chiave romanzesca, il libro tratta un tema che, a distanza di 90 anni, è di grande attualità: gli effetti collaterali di una certa bulimia espositiva, con i capolavori utilizzati come ambasciatori di un Paese e volano economico scandito a colpi di «fee». Il dilemma su cui si interrogano studiosi e responsabili dei musei è quindi: «prestare o non prestare» opere che sono il Dna di una collezione?
Un fenomeno in crescita
Se nel settembre scorso fece discutere la partenza dell’Uomo vitruviano dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia alla volta del Louvre, oggi sul banco degli imputati del prestito facile sono saliti due musei: prima gli Uffizi e il suo direttore Eike Schmidt con il prestito del Leone X di Raffaello alle Scuderie del Quirinale, che ha portato alle dimissioni del suo comitato scientifico, e, qualche giorno dopo, il museo napoletano di Capodimonte. Il direttore Sylvain Bellenger è stato molto criticato per aver concesso 40 pezzi tra cui la Flagellazione di Caravaggio e l’Antea del Parmigianino a Forth Worth (Texas) per la mostra «Carne e sangue, i capolavori italiani del museo di Capodimonte». Il fenomeno dei prestiti, dunque, soprattutto quando pezzi che costituiscono il patrimonio genetico di un museo sono diretti all’estero, infiamma il dibattito.
Secondo i dati forniti dal Mibact, il volume delle movimentazioni per prestiti in Italia e all’estero è cospicuo, e in salita. Nel 2018 sono volate nel mondo 9.600 opere per 655 mostre, mentre nei primi tre mesi del 2019 sono già espatriati 4.200 pezzi per andare ad arricchire 333 mostre. Su questi numeri il mondo della cultura si divide: tra chi sostiene che l’opera d’arte è un patrimonio dell’umanità, messaggera di civiltà, e chi contesta un’idea di museo inteso come «deposito di capolavori da asporto a beneficio quasi esclusivo di chi li gestisce come tali». Sono parole dello storico dell’arte Tomaso Montanari, membro dimissionario del comitato scientifico degli Uffizi. Ogni prestito, argomenta, soprattutto all’estero, deve essere super-ponderato: «A imporci quest’attenzione è la legge, precisamente l’articolo 66 del Codice dei Beni culturali, che prescrive che non possono in nessun caso uscire dal territorio nazionale le opere che costituiscono il fondo principale dei musei. In questo momento, per esempio, il fondo principale di Capodimonte è in parte in Texas, mentre Trump annuncia di voler chiudere i voli con l’Italia per il coronavirus: è chiaro cosa potrebbe succedere?».
Il direttore degli Uffizi Eike Schmidt difende la sua scelta: «Rivendico pienamente il patriottismo della decisione, in difformità con quanto suggerito dal comitato consultivo: la grande mostra su Raffaello sarà quest’anno un motivo d’orgoglio dell’Italia nel mondo intero, non poteva fare a meno del Leone X, capolavoro in ottima salute e in perfetta condizione di viaggiare dopo essere stato restaurato all’Opificio delle Pietre Dure». Conclude: «Rispetto al Louvre ho sempre detto che non abbiamo un’unica Gioconda, ma tante. Per ragioni di tutela oltre che identitarie, abbiamo deciso di non prestare i tre dipinti su tavola di Leonardo al Louvre. Di certo non sposteremo mai i due capolavori di Botticelli, la Venere e la Primavera. Non avrebbe alcun senso».
Christian Greco, direttore del Museo Egizio di Torino, reduce da molti successi internazionali tra cui una mostra a Rio de Janeiro con 140 reperti torinesi che hanno attratto ben 4 milioni di visitatori e una seconda rassegna appena inaugurata a San Paolo, spiega che ogni prestito è una storia a sé e che è «necessario considerare ciascuna situazione con le sue specificità, valutando sempre il progetto scientifico e l’attività di ricerca correlata». Ma sottolinea anche: «Non v’è dubbio che ci siano pezzi caratterizzanti per una collezione, che devono essere ritenuti inamovibili: per il Museo Egizio lo è la tomba di Kha».
"Patrimonio dell’umanità"
Se fosse stato al posto di Schmidt o di Bellenger, Greco si sarebbe comportato nello stesso modo: «All’Egizio, innanzitutto, investiamo costantemente nell’aggiornare l’esposizione con lo studio e la ricerca, fulcro della nostra attività. Al contempo, sviluppiamo mostre temporanee e itineranti - ne è un esempio quella in corso in Brasile - e concediamo prestiti a istituzioni italiane e straniere nel rispetto delle esigenze conservative degli oggetti, a fronte di una rigorosa valutazione del progetto scientifico. Qui risiede il senso dell’inamovibilità di quelle opere rappresentative e identitarie per una collezione». 
A proposito di opere identitarie. Secondo il direttore del museo di Capodimonte, Bellenger, i 140 pezzi prestati al Texas non impoveriscono la collezione, ma ne rivalutano l’immagine a livello internazionale: «Chi ha parlato di un danno per il museo ha mosso un rilievo insensato. Le opere sono uscite per una mostra che ha come obiettivo quello di far conoscere la nostra migliore arte all’estero: per far crescere il numero di visitatori e circolare l’eccellenza della nostra istituzione». Un’iniziativa, dunque, le cui ricadute benefiche investono tutta la città di Napoli. 
E restando a Napoli, Paolo Giulierini, direttore del Mann, Museo Archeologico Nazionale (che da solo copre il 75% dei prestiti del Mibact, grazie agli straordinari depositi in grado di alimentare decine di mostre in tutto il mondo senza impoverire le collezioni permanenti), spiega che nulla a parer suo è inamovibile, «sempre che esista un perfetto stato di conservazione dell’opera, e in occasioni come mostre di elevato contenuto scientifico, grandi operazioni internazionali, finanziamenti di restauri». Con una considerazione aggiuntiva: «Va ricordato che quasi tutte le opere dei nostri musei sono state realizzate in imperi, regni o potentati estranei all’Italia d’oggi, e vanno quindi considerati patrimonio dell’umanità».