il Fatto Quotidiano, 5 marzo 2020
Maurizio Costanzo ricorda “Se telefonando”
Le canzoni trovano vie misteriose per venire al mondo. Non fosse stato per il malore di un poveraccio o, forse, del colpo di un malfattore, nessuno avrebbe mai cantato Se telefonando. “È vero”, ride Maurizio Costanzo. “Il destino ci mise lo zampino, facendo arrivare alle orecchie di Morricone il suono bitonale di una sirena, a Marsiglia. Un’auto della polizia all’inseguimento di un ladro, o un’ambulanza diretta verso un’ospedale. Fatto sta che Ennio tornò dalla Francia e quel ta-ta ta-ta-tata lo aveva ispirato. Tirò fuori dalle dita, con naturalezza, la musica che serviva per il nostro testo”.
Il superclassico di Mina. “Era il 1966. Io”, ricorda Costanzo e Ghigo De Chiara, uomo di teatro e critico televisivo per L’Avanti, avevamo bisogno di un brano per la sigla finale di Aria condizionata, il programma che sarebbe andato in onda in quell’estate sul Secondo Canale, alle nove di sera. L’avrebbero presentato Rossano Brazzi, Tino Buazzelli, Umberto Orsini, Scilla Gabel, Alida Chelli, Valeria Ciangottini. A scrivere la trasmissione con noi c’era anche Sergio Bernardini, il patron della Bussola, che però non c’entrava con la canzone. A quella pensammo con Ghigo ed Ennio. Il testo era ipotetico, con quel ‘Se’ iniziale e poi il gerundio, che fu una mia invenzione. La storia di un amore fugace, con la strategia per una rapida soluzione: era intrigante che lo cantasse una donna”.
E non una qualunque. “Ci incontrammo in via Teulada. Mina si presentò con il manager Elio Gigante. Morricone suonò il pezzo su un piano verticale. Mina lo intonò, e fu subito chiaro che nessuno mai avrebbe potuto superarla, anche se ho molto apprezzato la versione di Nek a Sanremo, cinque anni fa. Quel giorno, più di mezzo secolo fa nella sede Rai, fui sopraffatto dall’emozione davanti a Mina”. Che ebbe però qualcosa da eccepire sul testo. “Sì”, conferma Maurizio, “contestò il verso le tue mani sulla mia. Volle che quest’ultima parola diventasse mie, al plurale. Temeva che qualcuno potesse leggerci un che di ambiguo, di pruriginoso”. Com’era Mina, vista da vicino? “Giunonica, imponente, bella. Era molto… molto Mina, tanta di voce e di tutto. Come le disse Alberto Sordi a Studio Uno: “Sei ‘na fagottata de robba!’”.
La prima esecuzione di Se telefonando fu proprio a Studio Uno: nel 1966 il leggendario varietà del sabato era alla terza edizione condotta da Mina, dopo la bufera moralista per la sua passione d’amore con Corrado Pani, già sposato altrove, ancorché separato. Tre anni prima, dalla loro relazione era nato Massimiliano: Epoca pubblicò la foto del terzetto sorridente, con la didascalia “Cosa avrà da ridere?”. Mina la concubina, la sfasciafamiglie. “Era un’Italia che non ti perdonava nulla”, ricorda Costanzo. “Abbiamo vissuto un’epoca oscurantista, nessuno oggi riuscirebbe a immaginarla. L’adulterio, reale o presunto tale, non era solo un peccato mortale, ma soprattutto un reato. Bastava la denuncia di un marito tradito e la moglie poteva finire in galera. La donna sì, il suo amante no. Questo prevedeva un codice penale da medioevo. Era accaduto anni prima a Fausto Coppi con la sua Giulia Occhini, la Dama Bianca, consorte di un medico ammiratore del campione. I carabinieri andarono a Villa Coppi e poggiarono le mani sul letto, per vedere se fosse ancora caldo, e accertare il misfatto. Quanto a Pani, lo ospitai più volte al Costanzo Show. Era simpatico, mi divertivo a prenderlo per il culo. Un bello e maledetto”.
Nel ’66 Mina era già passata oltre, l’unione tra l’attore scavalcamontagne e la diva della tv non poteva durare. “Stava con Antonello Falqui, che premette per il suo ritorno in televisione dopo la cacciata. Oggi Antonello è morto e non me la sento di dirlo con certezza, ma credo fossero scappati insieme in Argentina”. Per Falqui Costanzo lavorò a Bambole, non c’è una lira. “Andò in onda nel ’77, lo scrissi con Marchesi, Amurri, Verde, Landi. Una celebrazione dell’avanspettacolo. Nel cast c’erano il giovane Christian De Sica, la Bertè, Isabella Biagini, Mastelloni, Pippo Franco, mostri sacri come Tino Scotti, Gianni Agus, Gianrico Tedeschi. Falqui era un maestro di regia. Aveva imparato dagli americani a regalare profondità allo studio con l’uso di luci e ombre, e scenografie minimaliste. I suoi show degli anni Sessanta sono insuperabili. La Rai dovrebbe riproporre quell’eleganza in bianco e nero anche per le trasmissioni di oggi, sarebbe un’idea vincente. Alludere con la fantasia a tutti i colori senza utilizzarli. Con Falqui il Delle Vittorie pareva immenso”.
Fu lì che nel ’74 c’era stato il passo d’addio al piccolo schermo di Mina: Milleluci, con la profetica sigla finale di Non gioco più e la conduzione al fianco di Raffaella Carrà. “Due primedonne assolute. Dove sono quelle di oggi?”, si chiede Costanzo, che a fine marzo riaprirà il sipario del suo inossidabile Show. Quante volte aveva provato a invitarci Mina? “Dopo Se telefonando non scrissi più nulla per lei, ma restammo in contatto. Mi manda ancora i saluti anche se dall’addio al pubblico si è rintanata a Lugano. Ci ho provato in tutti i modi: una volta le dissi ‘vengo sotto casa tua con la troupe e ti faccio la serenata’. Ma non c’è mai stato nulla da fare. Auguri per i tuoi 80 anni, Mina. Anche tra un secolo si parlerà di te. Sei la più grande di sempre”.