La Stampa, 5 marzo 2020
La morte di Raffaello
Corse voce che alla notizia la terra avesse tremato, come nel momento della morte di Cristo: «così il palazzo del Papa s’è aperto de sorte che ’l minaza ruina, e Sua Santità per paura è fugito dalle sue stantie et è andato a stare in quelle che feze fare Papa Innocentio». Con queste parole, in una lettera scritta a caldo il 7 aprile 1520, Pandolfo Pico della Mirandola informava la marchesa di Mantova Isabella d’Este del luttuoso evento che aveva lasciato la corte pontificia «in grandissima et universale mestitia» e tutta Roma attonita. Era morto Raffaello.
Era successo poche ore prima, la sera del 6 aprile: «il giorno medesimo ch’e’ nacque, che fu il Venerdì Santo», come segnalerà Vasari nelle Vite. Una prossimità alla Pasqua e una circolarità che sembravano fatte apposta per convalidare il mito e l’eccezionalità dell’artista - «il Dio dell’arte», lo esaltò l’amico poeta Antonio Tebaldeo. E una data fatidica, il 6 aprile, e cara all’artista, perché – come ricorda Matteo Lafranconi nel catalogo della mostra edito da Skira – è in quel giorno, nel 1327, che il suo diletto Petrarca (raffigurato nel Parnaso dipinto a fresco nella vaticana Stanza della Segnatura) aveva conosciuto Laura e trascorsi 21 anni esatti l’aveva perduta.
Ancora due settimane prima, il 24 marzo, Raffaello era stato avvistato alla registrazione di un atto notarile. Ma poi lo aveva assalito una fortissima febbre, che Vasari riconduce agli eccessi sessuali, e che i medici pensarono male di curare con qualche salasso, «di maniera che indebilito si sentiva mancare, là dove aveva bisogno di ristoro». Insomma un caso di malasanità. Altre spiegazioni, fiorite in seguito, hanno ipotizzato problemi polmonari, aggravati dall’umidità respirata negli scavi di Roma antica, o l’affaticamento dovuto all’accavallarsi delle commesse e degli impegni come sovrintendente ai lavori della basilica vaticana.
Oggetto di speciale devozione da parte del papa Leone X, che gli aveva affidato il prestigioso incarico, giovane e bello e di gentile aspetto, venerato, addirittura idolatrato dai suoi contemporanei, titolare della più importante bottega d’artista del tempo (assieme a quella di Michelangelo), nei suoi pochi ma intensissimi anni Raffaello aveva di conseguenza accumulato un enorme patrimonio. «Dicesi che ha lassato ducati 16 milia, tra quali 5000 in contati, da essere distribuiti, per la magiore parte, a’ suoi amici e servitori», informa il collezionista Marcantonio Michiel in una lettera dell’11 aprile 1520. Per fare una proporzione, possiamo considerare che per 3000 ducati, tre anni prima, l’artista aveva acquistato un prestigioso edificio progettato da Bramante, il palazzo Corsini (oggi non più esistente), dove avrebbe abitato fino alla morte.
Nel testamento, dettato di gran fretta all’aggravarsi della malattia, Raffaello si era preoccupato anche della sepoltura: consapevole del proprio rango, aveva chiesto di essere tumulato nel Pantheon, che dall’inizio del secolo era in fase di restauro, in uno dei tabernacoli antichi adattati ad altari cristiani. E aveva pensato anche alla statua che avrebbe vigilato sulla sua ultima dimora, una Madonna con Bambino affidata a Lorenzetto (che la portò a termine con l’aiuto di Raffaele da Montelupo), su un modello antico individuato nella Venere di Capua (oggi nei Musei Vaticani, copia romana da un originale ellenistico).
Per l’iscrizione sepolcrale il Papa indisse una gara alla quale parteciparono i più celebri letterati dell’epoca, tra gli altri Ariosto. Fu scelta quella che ancora oggi si può leggere nel Pantheon, dettata secondo Vasari da Pietro Bembo ma da altri ricondotta a Tebaldeo, culminante nel celebre distico elegiaco la cui perfetta lapidarietà latina si può tradurre solo approssimativamente: «Qui sta quel Raffaello, mentre era vivo il quale la Gran Madre delle cose temette di essere vinta e, lui morente, di morire».
Raffaello aveva 37 anni quando lasciò questo mondo che aveva riempito di bellezza. «Muor giovane chi agli dèi è caro», aveva cantato Menadro. Questa volta qualche dio aveva esagerato.