La Stampa, 5 marzo 2020
Biografia di Michele Prestipino
Spumante nei bicchieri di plastica «e manco ’na pizzetta». Anche nel giorno professionalmente più importante della sua vita, Michele Prestipino si conferma un romano atipico. Emozionato nel brindisi con i colleghi della Procura. Poche chiacchiere, poi di nuovo a lavorare.
Del resto a Roma è nato, cresciuto (nel borghese corso Trieste) e infine ritornato, ma non è e non sarà mai un «magistrato romano». E non solo per le ascendenze messinesi. In realtà è un filosofo mancato e se avesse seguito l’inclinazione liceale oggi non correrebbe dietro a Spada e Casamonica, ma a Kant e Aristotele come il padre Vincenzo, docente di filosofia morale a Macerata. O a Marx e Lukács come lo zio Giuseppe, che oltre a insegnare filosofia teoretica a Siena era intellettuale gramscianamente organico, dopo aver animato un movimento sindacale nella Libia post coloniale dove nel 1932 il padre magistrato (ah, ecco) era stato inviato per «negoziare» il trasferimento della popolazione della Cirenaica e far posto agli italiani inviati dal regime fascista. Sarà l’impronta familiare ad averlo conservato studioso, anche dopo la precoce fine della carriera universitaria come cultore di diritto civile. Il metodo analitico nella lettura delle carte - anche se intercettazioni e interrogatori - non l’ha mai perso, come il gusto della scrittura. Degli atti giudiziari, degli articoli di dottrina, dei libri.
Esordi giudiziari ad Avezzano: pretura circondariale, poi tribunale. Sua una sentenza pilota in materia di rifiuti, ammettendo le associazioni ambientaliste come parti civili. E proprio in Abruzzo il primo incrocio con le mafie, da giudice di sorveglianza che esamina le pratiche dei boss detenuti. Nel 1996 il trasferimento a Palermo, le indagini su mafia, appalti e banche. «Raro acume investigativo», certificherà nel 2004 il procuratore Pietro Grasso. Nasce il sodalizio con Giuseppe Pignatone, che in quel palazzo razionalista così tragicamente famoso era entrato vent’anni prima. Uno figlio di un cattolico e nipote di un comunista che il comitato centrale mandava da Mosca nella minuscola Capizzi, dove «c’erano i voti ma non una sola persona che avesse finito le elementari» e potesse fare il sindaco. L’altro figlio di un democristiano teorico del milazzismo, due volte deputato e presidente di enti pubblici. «Se Pignatone è metodico, Prestipino è frenetico, se l’uno sembra sornione, l’altro appare impetuoso, ma ho scoperto che entrambi nutrono passione smodata per la parola», scrive Gaetano Savatteri nella prefazione del loro libro «Contagio» (Laterza).
Il resto della simbiosi è storia nota: Palermo, Reggio Calabria, Roma. Con lo stesso metodo investigativo nei diversi contesti: composizione dei puzzle criminali e cultura della prova, da solidificare prima del processo.
Non tutto è stato facile. A Roma la nomea di «cocco» di Pignatone aveva procurato inevitabili gelosie e pregiudizi. Superati quando s’è visto che Prestipino non era arrivato per godersi la dolce vita, ma per sgobbare. Nelle più complesse inchieste antimafia come nella minutaglia degli «affari semplici», un inferno da 140 mila fascicoli l’anno. Anche per questo, ieri in Procura, i sorrisi (e qualche lacrima) non erano solo dei pm, ma anche di segretarie e cancellieri. Primo a entrare e ultimo a uscire dall’ufficio, anche come capo reggente dopo l’addio di Pignatone. Mai sentito dire «ora non posso, passa domani» a un sostituto che voleva risolvere un problema. Piuttosto «aspettami dieci minuti e ne parliamo». Refrattario alle scene televisive (preferisce i convegni) e riservato sulla vita privata (solo recentemente ha parlato ai colleghi di compagna e figlio nato l’anno scorso), non è di quelli che a pranzo se ne sta in ufficio da solo. Capita di vederlo arrivare al baretto di piazzale Clodio e aggiungersi alla tavolata dei pm, se c’è un posto libero. Non cambierà, anche ora che guida 100 magistrati nel posto che, leggenda ma non troppo, conta come un paio di ministeri. Il migliore augurio che gli si può fare è il titolo dell’ultimo libro dello zio filosofo: diritti e dignità.