Il Sole 24 Ore, 4 marzo 2020
In corsia mancano 7mila medici
Non c’è solo un allarme posti letto nelle terapie intensive nel giorno in cui tornano a crescere a un ritmo più veloce i contagi che salgono a 2263 (+438) e le vittime: 27 solo ieri (79 in tutto). L’altro grido arriva da medici e infermieri in trincea nella battaglia contro il coronavirus. Crescono pressioni e rischi per i camici bianchi – ieri è morto il primo collega, Ivo Cilesi terapeuta esperto nell’Alzheimer – che combattono non solo contro il virus ma anche contro una endemica carenza di personale che arriva da lontano. E così dopo anni di tagli il Servizio sanitario nazionale arriva con il fiatone all’appuntamento con il coronavirus, con la beffa che le carenze più forti si contano proprio lì dove ci sono i reparti più esposti. E cioè le emergenze (leggasi pronto soccorso), la rianimazione e la medicina interna quella che si occupa dei ricoveri dove arrivano anche i pazienti contagiati meno gravi. I numeri esatti dei posti vacanti sono stati messi in fila da Anaao Assomed, la principale sigla degli ospedalieri, che per queste tre specializzazioni stima una carenza di 7403 medici fino al 2025: 4.180 nella medicina d’emergenza-urgenza, 1828 nella medicina interna e 1395 in anestesia, rianimazione e terapia intensiva. Con le tre Regioni finora più colpite per numero di contagi – Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna – che da sole contano 1491 medici in meno rispetto a quanti ne servirebbero: 869 in Lombardia, 314 in Emilia e 308 in Veneto. Non a caso c’è chi corre subito ai ripari: il Veneto nei giorni scorsi ha assunto 215 tra infermieri e altri operatori e la Lombardia ha annunciato l’arrivo di 200 infermieri e 100 medici oltre a 40 sanitari militari dal ministero della Difesa. L’Emilia Romagna viene invece da una stagione di assunzioni e per ora non ci sono misure immediate sul personale in vista.
Quello dell’allarme carenza medici e infermieri del resto è una questione ben nota alle Regioni e al Governo che prima dello scoppio dell’allarme coronavirus avevano messo in pista una serie di misure nel Patto della salute e poi nel decreto milleproroghe che consentono di assumere i medici fino a 70 anni anche con oltre 40 anni di servizio e di siglare contratti a tempo determinato con i giovani medici specializzandi che si stanno ancora formando già dal terzo anno di corso oltre che dal quarto e quinto. Ma a queste possibilità si è aggiunta in extremis il via libera ufficiale al ricorso, proprio per la durata dell’emergenza coronavirus, a medici e infermieri pensionati. La norma è comparsa nella versione finale del decreto legge approvato venerdì scorso dal Governo per le prime emergenze economiche e appena finito in Gazzetta Ufficiale: la misura prevede che verificata l’impossibilità di assumere personale magari attingendo dalle graduatorie si possono «conferire incarichi di lavoro autonomo anche a personale medico e infermieristico collocato in quiescienza – si legge nell’articolo 23 – con durata non superiore ai sei mesi e comunque entro il termine dello stato di emergenza».
Una possibilità, questa, che non piace al segretario di Anaao Assomed, Carlo Palermo, perché si tratta di una misura «usa e getta» che recupera forza lavoro «con tutele minime e con il paradosso di dover pure far pagare di tasca propria la polizza assicurativa, necessaria in un contesto di oggettiva difficoltà». «Al ministero – aggiunge Palermo – chiediamo piuttosto un Dpcm che con una deroga emergenziale dopo un avviso pubblico valido per una decina di giorni consenta assunzioni a tempo determinato, per sei mesi rinnovabili, che attinga soprattutto tra i giovani».
Le risorse ci sono già in manovra: «Abbiamo a disposizione 300 milioni di euro in tutta Italia con cui assumere 2mila tra medici e biologi e 5mila infermieri», ricorda ancora Palermo. E anche le risorse umane da cui attingere non mancano: «Potenzialmente si può pescare all’interno di un bacino di ben 15mila professionisti già specializzati e non occupati appieno e, una volta esaurita questa risorsa, attingere ai 13mila specializzandi del terzo, quarto e quinto anno a cui il decreto Milleproroghe consente di lavorare in corsia».