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 2020  marzo 04 Mercoledì calendario

Intervista a Fabio Fognini

Fabio Fognini è sanguigno, talvolta scorretto, ma inimitabile. Un fenomeno, tanto imprevedibile nelle invenzioni che nelle azioni. È a Cagliari per portare l’Italia nelle Finals di Coppa Davis, a novembre a Madrid. Corea del Sud permettendo. Comunque sia, Fognini il biglietto lo vale sempre. Perché i suoi eccessi, nel bene e nel male, confermano l’eccelsa qualità dell’artista.
Fognini, come sta?
«Sono sereno. A 32 anni posso dire di aver fatto bene a tenere sempre distinti lavoro e famiglia».
Le voci, le critiche, non la disturbano più?
«Ormai no… Onestamente mi fregavano quand’ero più piccolo.
Penso che i media in varie occasioni abbiano cavalcato cose non vere su di me, e questo mi è dispiaciuto.
Certe volte le strumentalizzazioni avvengono ancora, vedi l’ultima a Rotterdam. Ho dato un’intervista a un giornale olandese, che ha tradotto male una mia risposta: è venuto fuori che sarei pigro, che preferirei il divano al campo d’allenamento. Sciocchezze riprese in Italia. Ho smentito su Instagram, all’intervista era presente anche un delegato Atp».
Di errori ne ha commessi, questo non è sindacabile.
«Rispondo attraverso i miei figli: quando, in futuro, vedranno i miei video spero che mi chiederanno tutto. E io racconterò e spiegherò loro i miei errori. Non mi sono mai nascosto dietro gli sbagli che ho fatto e che farò, perché nessuno è perfetto. Spero che poi la gente capirà, così come i miei figli cresceranno e capiranno da soli.
Dipenderà anche da come si parlerà loro in casa, ma questa è un’altra storia».
Fra lei e i giornalisti non è mai andata bene.
«Sui giornalisti, potessi, tornerei indietro. Sì, lo dico. Sono schietto, e preferisco sempre la verità e le cose dette in faccia. Però sul rapporto con i media oggi recrimino: avrei dovuto e potuto lavorarci sopra, invece è stato teso fin dall’inizio. Penso di aver preso sottogamba questo aspetto».
Poi c’è il suo carattere.
«M’hanno sempre accostato a Balotelli, che poi conosco superficialmente. Ecco, lui viene descritto male, però le cose buone nessuno le dice. L’altra sera ha comprato una macchina a un ragazzo. Certo, avrà fatto i suoi errori, ma c’è chi ama dare dello stupido troppo facilmente».
Comunque lei la carriera non l’ha buttata via.
«Ormai sono tra i vecchi… fin quando sto bene, e regge la bussola continuo a giocare. Non è più problema di ranking, che poi sono solo numeri.
Mi motiva la voglia, la competizione con le giovani generazioni. Che le prendono ancora, da me. Io mi diverto a sfidarli e gli auguro il meglio, ma non sanno cosa c’è dietro».
Beh, il movimento Italia lo ha trainato lei, in questi ultimi anni.
Come pensa di essere ricordato?
«Ho fatto la mia strada. Col senno di poi gli errori che ho fatto non li rifarei, come l’aver perso tempo. Ma la vita è così, più si è maturi e più si riesce a capire gli errori del passato.
Sarò ricordato per la velocità del braccio? Ma anche per essere stato un po’ una testa calda e un tipo che se la giocava con tutti quando stava al meglio. E, soprattutto, uno che quando c’era la Nazionale ha gettato il cuore oltre l’ostacolo. Credo che questo dovrebbero impararlo anche i ragazzini. La Nazionale è l’apice per un atleta, qualunque sport sia.
Questo manca ai giovani».
Eccola, la famosa schiettezza.
«Oh, io sono rimasto me stesso. Mi sono sempre messo a nudo, invece altri tennisti sono cambiati con il successo. Mi mette una tristezza addosso questa cosa, li vedi che cominciano a prendersi troppo sul serio. Okay, sei stato numero 2 del mondo, e allora? La vita è altro: ringrazio il Padreterno, i miei genitori, il tennis. Ma qui stiamo parlando di correre dietro una pallina gialla. Credo che per non cadere nel delirio di onnipotenza bisogna essere sportivamente educati: la sconfitta prima o poi arriva, siamo umani».
Lei è maturato.
«L’evoluzione l’ho avuta con i bimbi, vittorie e sconfitte sono diventate relative. Oggi gioco più per loro che per me. E le sconfitte le vivo meglio adesso: è solo una partita di tennis, penso subito ai bimbi e mi ricordo che nessuno è invincibile».
Ha scoperto la vita da papà.
«L’altra sera avevo la piccola Farah in braccio addormentata e Federico mi chiedeva di accompagnarlo in bagno. Vi risparmio i dettagli. Sì, ho scoperto la vita del papà, ma è bella.
Molto più dura per la mamma. Il tennis è meno faticoso, e la pensa così anche Flavia: sono tre anni che non dorme, tra colichette e dentini.
Essere genitore è bello, ma duro».
Sua moglie Flavia Pennetta sostiene che Francesca Schiavone sarebbe il suo coach ideale.
«Mi sarei fatto allenare da una donna, anche Barazzutti era d’accordo. Abbiamo lo stesso carattere. Francesca è stata con noi a Roma, a casa di Corrado. E l’anno scorso a Montecarlo era nel mio box.
Poi la vita ha dato altre direzioni, ma vediamo che succede».
Come ha fatto a passare per un ‘bad boy’?
«Perché non mi piace farmi pubblicità: sostengo un reparto dell’ospedale Gaslini, ma perché devo dirlo? E comunque Kyrgios è fuori classifica, nel club del bad boys. Ed è un peccato perché gioca meglio di tutti».
Il tennis le ha dato tanto, ma qualcosa le avrà pur tolto.
«Il calcio, e gli amici di Arma di Taggia, e le serate in discoteca. Ma la bilancia pende dall’altra parte: ho esaudito i miei sogni. Ho tutto. Una moglie, due figli. Una famiglia felice e che si vuole bene. Per questo non farò l’allenatore dopo, non ho voglia di viaggiare. Nel mio dopo tennis vorrei vedere i miei figli crescere. Ma farò anche qualcos’altro: mica mi vedete come un pantofolaio?».