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 2020  marzo 04 Mercoledì calendario

Il successo del New York Times fa male al giornalismo?

La prima volta che ho incontrato Arthur G. Sulzberger, l’editore del New York Times, ho cercato di assumerlo. Era ai tempi esaltanti dei media digitali, nel 2014, e io ero a BuzzFeed News, una di quelle startup che si preparavano a spazzare via testate tradizionali moribonde come il New York Times.
Il titolo azionario del prestigioso quotidiano newyorchese arrancava e a parte i mobili l’azienda aveva venduto tutto quello che aveva per continuare a finanziare la sua attività giornalistica. Sulzberger, che all’epoca era l’erede designato per prendere in mano il timone del New York Times, rifiutò educatamente la mia proposta. E oggi, dopo otto anni come direttore di BuzzFeed, mi ritrovo a essere io alle sue dipendenze come nuovo opinionista di media.
Ho preso il posto creato un decennio fa da David Carr, l’editorialista scomparso che ha raccontato l’esplosione delle nuove testate online. Io probabilmente focalizzerò i miei articoli sul processo inverso: la concentrazione di ogni cosa, dai film all’informazione, con il settore dei media che viene svuotato dalle stesse forze che hanno trasformato il volto di industrie intere, dalle compagnie aeree all’industria farmaceutica, forze che tendono a creare monopoli e ad arricchire chi è già ricco. E la storia della concentrazione nel mondo dei media è anche la storia del New York Times stesso.Il divario fra il giornale newyorchese e il resto del settore è enorme e continua a crescere: l’azienda ormai ha più abbonati digitali del Wall Street Journal, del Washington Post e dei 250 giornali locali del gruppo Gannett messi insieme. Domina a tal punto il mondo dell’informazione che ha assorbito molte delle persone che un tempo lo minacciavano. Le grandi firme di Gawker, di Recode e di Quartz ora sono tutte al Times, così come molti dei reporter che hanno trasformato Politico in una lettura irrinunciabile a Washington.
Ho passato tutta la mia carriera a competere con il New York Times, perciò venire a lavorare qui mi sembra un po’ una resa. E il mio timore è che il successo del giornale finisca per tagliare fuori la concorrenza. «Il New York Times sostanzialmente si avvia a diventare un monopolio», pronostica Jim VanderHei, il fondatore di Axios, che è nata nel 2016 con l’idea di vendere abbonamenti digitali, ma non l’ha ancora fatto. «Il New York Times diventerà più grande e la nicchia diventerà più piccola, e non sopravviverà nient’altro».
Janice Min, l’ex direttrice di Us Weekly che ha reinventato The Hollywood Reporter, dice che il mix di contenuti sempre più ampio offerto dal Times rappresenta un ostacolo formidabile per altre imprese fondate sugli abbonamenti digitali. «Visto che in questo caso si parla di editoria, è tutto abbastanza triste, ma in questo universo parallelo la gente parla del New York Times come a Hollywood si parla di Netflix», dice la Min. «È la parte che domina il tutto e al tempo stesso è il tutto».
L’ascesa da gigante ferito a colosso inarrestabile è sbalorditiva come quella di qualsiasi startup. Ancora nel 2014 la pubblicità sui giornali era in caduta libera e l’idea che gli abbonati potessero pagare abbastanza da supportare il costoso lavoro di ricerca delle notizie a livello mondiale sembrava un sogno a occhi aperti. «Avevamo venduto ogni frammento vendibile dell’azienda per riuscire a mantenere in pareggio, per quanto umanamente possibile, il nostro investimento giornalistico», mi ha detto Sulzberger, che è diventato editore nel 2018, in un’intervista la settimana scorsa. «Tutte le persone intelligenti nel mondo dei media pensavano che fosse una follia, tutti i nostri azionisti pensavano che fosse finanziariamente irresponsabile». A distanza di pochi anni, il titolo azionario del New York Times è risalito a quasi il triplo del livello che aveva nel 2014 e la redazione ora vanta 400 dipendenti in più.
Quando ho parlato con Sulzberger, la settimana scorsa, mi ha dato la stessa impressione di altri personaggi di questa economia digitale che hanno avuto un successo di rapidità e proporzioni sconvolgenti eppure continuano a guardarti increduli se gli parli di “monopolio”. Lui vede concorrenza in abbondanza per il Times : cita le tv via cavo, anche se è un settore dal futuro incerto. Soprattutto, dice, gli americani si abboneranno a più di un mezzo di informazione. Secondo lui il New York Times non sta dominando il mercato, sta creando un mercato nuovo. Il suo ottimismo è condiviso, almeno pubblicamente, da quel gruppo ristretto di organi di informazione che riescono a tirare avanti grazie agli abbonamenti locali.
«Il New York Times ha mostrato al resto del settore la via per il successo, almeno in parte», dice Brian Mc-Grory, direttore del Boston Globe, che è riuscito ad attirare più di 100.000 abbonati digitali. I dirigenti del New York Times dicono che stanno anche cercando un modo per aiutare i loro cugini più deboli, considerando il rischio che rappresenta per la democrazia il tracollo del giornalismo locale. «Ma, come dicono negli aerei, prima di cominciare a dare una mano agli altri devi infilarti tu la maschera dell’ossigeno», dice Mark Thompson, l’amministratore delegato del giornale. La BuzzFeed News che mi lascio dietro è una delle poche redazioni forti e indipendenti che resisteranno all’ondata della concentrazione, e questo mi rende orgoglioso. Ma mi manca quel momento di apertura e possibilità di dieci anni fa, quando eravamo parte di un’ondata di nuovi protagonisti intenti a ripensare il significato dell’informazione.
Il mio lavoro come editorialista qui al New York Times sarà eccitante e confortevole: avrò la possibilità di raccontare questa nuova era dei media dall’interno di uno dei giganti. E spero che quell’iniziale era di innovazione non sia servita unicamente a creare un vivaio e qualche insegnamento utile per l’equivalente giornalistico dei New York Yankees del 1927.
«Il fossato è così ampio, ormai, che mi sembra impossibile che qualcuno possa riuscire a inserirsi», mi ha detto Josh Tyrangiel, ex vicepresidente anziano per l’informazione di Vice, che ora produce spettacoli televisivi e documentari. «Non arriveranno nuovi protagonisti. E il direttore di BuzzFeed News, che era il capo dei ribelli, ora sta scrivendo questo editoriale per voi sulle pagine del New York Times».
©The New York Times 2020 (Traduzione di Fabio Galimberti)