Il Sole 24 Ore, 3 marzo 2020
Il business della genomica
Guardando alle attese dei primi anni Duemila, agli investimenti di venture capital fatti allora e agli esiti che ne sono seguiti sul mercato, una cosa è certa: per gli investitori, la genomica non è stata mai un affare. Delle decine di startup nate in quegli anni – a partire dall’ascesa e rapida caduta della Celera Genomics di Craig Venter, che completò il sequenziamento del genoma umano prima del consorzio internazionale – quasi niente oggi rimane. Il punto storicamente critico del fallimento è stata la mancata transizione fra le applicazioni di ricerca e la clinica, la quale ultima ha, ovviamente, un mercato in ordine di grandezza superiore. È ragionevole pensare che l’incapacità di estrarre marcatori e importanti nuovi bersagli di terapia nella medicina postgenomica sia dipesa in buona misura dal non disporre di dati onnicomprensivi, “omici”, a livello di singole cellule. Il “rumore” intrinseco sui profili convenzionali è quindi, quasi di certo, il problema principale, e questo vale ancor di più quando si ha che fare con malattie per loro natura molto eterogenee nello spazio e nel tempo, come i tumori.
È sensato pensare di conseguenza che la single-cell biology risolverà l’ostacolo fondamentale per l’applicazione della genomica a una diagnosi e a una terapia personalizzate, che ci orienti finalmente, inoltre, verso la disease interception. Una stima quantifica il mercato attuale, di sola ricerca, in 1,83 miliardi di dollari e prevede un Cagr a doppia cifra, che arrivi a 5,32 miliardi, entro il 2025, con la metà dell’importo in Nordamerica e un quarto in Europa. Le aziende sono per ora quelle produttrici di strumenti di separazione cellulare e di kit di analisi a valle, prima fra tutte la 10X Genomics, e poi 1CellBio, Fluidigm, MissionBio, Celsee, con alcuni big player come Qiagen, GE Lifesciences, Illumina, Takara Bio che hanno fatto significativi investimenti nel settore. Il progetto europeo LifeTime (box a lato) ha aggregato 70 aziende biotech nella sua articolazione. Ma se davvero la single-cell biology dovesse cominciare a generare, combinata alle tecnologie complementari di biopsia liquida – si pensi all’investimento di 1,5 miliardi di dollari su Grail, la startup di Bill Gates e Jeff Bezos – delle impronte digitali attendibili per la diagnosi e la progressione di malattia di singoli pazienti, il mercato diventerebbe esplosivo in pochi anni e rischierebbe di fagocitare buona parte dell’attuale dominio della diagnostica molecolare e dei companion diagnostics (test diagnostici associati al farmaco per capire chi risponde alla terapia). Continuando con la previsione, un incremento della precisione dei marcatori e della diagnosi precoce nel prossimo decennio grazie ai big data su cellule singole e agli algoritmi di intelligenza artificiale per estrarvi senso, finirebbe con l’erodere anche il mercato dei farmaci. Con somma gioia dei pazienti, almeno di coloro i quali avessero capito il valore fondante della sorveglianza tramite biopsia liquida. Venti anni dopo la decodificazione del genoma umano, siamo ai prodromi della vera rivoluzione della biomedicina molecolare. Quella che ci permetterà di prevedere il futuro dei processi in atto nel nostro organismo, facendo lentamente del medico più una sentinella intelligente di un soldato in prima linea contro le malattie.