La Stampa, 3 marzo 2020
Corpi virtuali per pazienti veri
Il nuovo centro di simulazione medica avanzata del polo universitario San Luigi ad Orbassano mette la didattica virtuale come misura per ridurre il rischio clinico. Immaginiamo di essere in volo, motore in avaria. Solo l’aver imparato le manovre in fase di simulazione potrà salvarci. E, se dalla cabina di pilotaggio passiamo alla sala operatoria, la questione non cambia. Anzi, si fa ancora più pressante, perché, dati alla mano, il problema è quotidiano.
«L’abbattimento del rischio clinico - dice David Lembo, presidente del corso di laurea in "medicine and surgery" del polo universitario San Luigi Gonzaga di Orbassano -, ossia la possibilità che un paziente subisca un danno involontario imputabile alle cure sanitarie, oggi si può ottenere cambiando la rotta del modello educativo, così da mantenere la metafora del volo». Da tempo si dice che le strutture sanitarie, in particolare gli ospedali, siano luoghi pericolosi. Si parla di «errori di malasanità», sebbene l’espressione così formulata, ad indicare il rischio clinico, sia approssimativa, perché permane, comunque, una «quota» che non può essere evitata. Terapie farmacologiche sbagliate, manovre errate in fase di emergenza, protocolli male interpretati. «Molto di ciò che è imputabile all’errore può potenzialmente essere evitato», continua Lembo. Come? Simulando.
Simulando quanto più possibile prima di entrare in campo. Il centro, realizzato con il contributo di Compagnia di San Paolo, occupa 240 metri quadrati nel polo didattico. Quattro aule dotate di sistemi d’eccellenza, di manichini ad alta complessità tecnologica per ricreare il paziente adulto e pediatrico, di sistemi multimediali per permettere l’analisi in diretta delle manovre e i cambiamenti in tempo reale delle condizioni cliniche. «E’ diventato sempre più difficile approcciarsi al paziente in corsia - sottolinea Francesco Chiara, studente di medicina -. Il centro di simulazione costituisce una svolta per migliorare la manualità di cui un medico non può far a meno».
Concetto ancora più chiaramente espresso, come esigenza formativa, da chi è ai primi anni di studio. «I pazienti cambiano e anche noi dobbiamo cambiare metodo di studio - spiega Alessia Pascarella, terzo anno -. Medicina è un percorso lungo: è importante chiarirsi le idee e vedere più cose prima possibile». Formazione didattica, dunque. «Il nostro corso di laurea in medicina, in lingua inglese, coinvolge studenti di 33 nazionalità - dice David Lembo -. Imparare a lavorare insieme in un ambiente protetto ed estremamente realistico consente di massimizzare l’interculturalità e risolvere eventuali limiti linguistici».
Formazione didattica, certo. Ma anche ricaduta sul paziente, in termini di riduzione di rischio clinico. Dato, per altro, difficile da quantificare. L’Oms stima 90 decessi al giorno in Italia legati al rischio clinico, circa 33 mila l’anno, rendendo conto di uno 0,4% di decessi, se si considera una media di 8 milioni e 300 mila ricoverati all’anno negli ospedali del nostro Paese. Se estendiamo il dato agli errori in generale, vale a dire alle manovre errate che non hanno necessariamente portato al decesso di chi le ha subite, i numeri salgono. L’Istituto superiore della sanità in Italia stima (dati del 2018) 4 mila casi ogni 100 mila pazienti: un abbondante 4%, dunque, è la percentuale di pazienti che subisce traumi di vario tipo legati al rischio clinico.
«Per porre un freno all’aumento delle complicanze successive agli interventi terapeutici - osserva Massimo Terzolo, direttore del dipartimento di scienze cliniche e biologiche, il dipartimento che ospita il centro - è sempre più necessaria la realizzazione di centri come il nostro, dove è possibile imparare al meglio la gestione di qualsiasi situazione a rischio. Esiste, per altro, sempre afferente alla Scuola di Medicina, un centro analogo anche all’Ospedale Molinette: grazie a strutture di questo tipo è possibile promuovere una formazione d’eccellenza per i giovani medici che si laureano nel nostro ateneo».
Il centro ospita anche il tavolo anatomico per la dissezione virtuale del corpo umano. «Lì vediamo i corpi in modo tridimensionale - spiega Stefania Raimondo, docente di anatomia - e le immagini, per altro, sono state realizzate acquisendo ad alta risoluzione i dettagli di corpi veri». Con il tavolo anatomico è possibile comprendere a grandezza naturale quali siano le interazioni tra organi, come e quanto questi siano legati, quanto sia cruciale capire che se si agisce su una determinata zona del corpo e le conseguenze che si possono estendere alla zona circostante.
«Aiuta nella comprensione dell’anatomia dell’individuo sano ma anche, soprattutto, di quella patologica». Agli studenti, manco a dirlo, piace molto. Piace quanto piace tutto il centro di simulazione. Perché operare su manichini evoluti, oppure su parti di questi per affinare le tecniche, li aiuta a vincere lo stress, avvicinandoli al modo migliore di operare: in casi di urgenza come di routine. Una svolta.