la Repubblica, 3 marzo 2020
La comunità ebraica: «Pio XII non fermò il treno dei deportati»
CITTÀ DEL VATICANO — Da parte del Vaticano «non ci fu volontà di fermare il treno del 16 ottobre» del 1943, che deportò in Germania dalla stazione Tiburtina 1.022 (per alcuni storici sono 1.024) ebrei prelevati dai tedeschi nel primo rastrellamento romano. L’accusa è del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, che infiamma i rapporti con la Santa Sede proprio nel giorno in cui Oltretevere sono stati aperti gli archivi dedicati al pontificato di Pio XII, il vescovo di Roma che favorì il nascondimento nei conventi di diversi ebrei, ma che nello stesso tempo scelse di stare in silenzio di fronte all’incedere della Shoah. Di Segni attacca indirettamente alcune uscite di ieri di personalità del Vaticano che, in particolare per voce di Johan Ickx, direttore dell’archivio della Sezione Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, affermano che le prime carte degli stessi archivi confermerebbero gli aiuti di Pacelli agli ebrei. Tra i documenti già fruibili in formato elettronico, spiega Ickx, spiccano i fascicoli sugli “Ebrei” con 4mila nomi e le loro richieste di aiuto. Dice: «Tra questi c’è una maggioranza di richieste per aiuto da parte di cattolici di discendenza ebraica, ma non mancano i nomi di ebrei».
La reazione di Di Segni è veemente, ed è mossa in particolare a motivo della tempistica con la quale la Santa Sede dichiara le sue conclusioni: «È molto sospetto questo sensazionalismo, con i fascicoli già pronti e le conclusioni facili proposte sul vassoio», dice. E ancora: «Ma basta poco per rendersi conto che già le scarse rivelazioni saranno un boomerang per gli apologeti a ogni costo. Si vede chiaramente che non ci fu volontà di fermare il treno del 16 ottobre e che gli aiuti furono ben mirati a tutela dei battezzati». «Dopo aver detto che ci vorranno anni di studio – chiosa il rabbino capo di Roma – ora la soluzione uscirebbe il primo giorno come il coniglio dal cilindro del prestigiatore. Per favore, fate lavorare gli storici».
Il treno del primo rastrellamento partì da Roma il 18 ottobre, due giorni dopo che gli ebrei vennero con la forza strappati dalle loro abitazioni nel ghetto. Secondo alcuni storici il ritardo di 48 ore fu dovuto dal timore nazista di reazioni vaticane, reazioni che tuttavia non arrivarono mai. A detta di diverse ricostruzioni fatte successivamente da storici principalmente cattolici, papa Pio XII rinunciò a parlare e a scrivere affinché la strategia di soccorso attuata in Europa non fosse colpita e smantellata dalla rappresaglia hitleriana. Il silenzio vaticano, tuttavia, continuò per diverso tempo anche dopo la guerra. E fu una caratteristica con la quale anche successivamente a Pacelli, i suoi collaboratori, Montini e Casaroli su tutti, instaurarono i propri rapporti diplomatici coi governi comunisti dell’Est. Comprendere dove risieda la verità è in ogni caso un lavoro ancora da fare, soprattutto oggi che una mole impressionante di documenti inediti può essere finalmente consultata. Ma un corretto svisceramento delle carte richiederà mesi, se non anni.