Libero, 2 marzo 2020
In Italia avanzano le foreste
Com’era la storia per cui bisogna salvare il pianeta dalla deforestazione? Com’era la retorica gretina per cui in Occidente manca una sensibilità ecologica e senza più alberi rischia di aumentare la concentrazione di CO2 e di allargarsi il buco dell’ozono? La realtà sta un po’ diversamente e, come spesso accade, smentisce l’ideologia. Se è vero che lo scorso anno in Australia si sono persi circa 10 milioni di ettari di foreste per via degli incendi e se è vero che la foresta amazzonica subisce una costante erosione, è altrettanto vero che l’Europa si è data letteralmente alla macchia. Nel senso che, anziché a un continente industrializzato, antropizzato e coltivato, assomiglia sempre più a com’era nel Medioevo: un’enorme distesa ricoperta perlopiù di foreste. Lo ricordava un’inchiesta pubblicata due giorni fa sul Corriere della Sera, e lo hanno dimostrato recentemente ricerche di studiosi, come quella dell’olandese Richard Fuchs dell’Università di Wegeningen. L’Europa sta diventando il polmone verde del mondo, e in questo processo di arborizzazione l’Italia vanta il primato. Ogni anno nel nostro continente le foreste crescono di 9.500 chilometri quadrati, il corrispondente di 1 milione e 200mila campi da calcio. E il nostro Paese ha la crescita arborea più significativa: negli ultimi 30 anni è aumentata di un milione di ettari la superficie destinata a boschi, in pratica 800 metri quadrati ogni minuto. Fino a coprire oltre un terzo del territorio nazionale, esattamente il 36 per cento. Un pezzo significativo di Italia è verde, e non nel senso che vota Lega… fenomeni paralleli Le ragioni di questa corposa riforestazione vanno rintracciate, come spiega l’inchiesta del Corsera, nelle campagne di rimboschimento e quindi nella cresciuta sensibilità ambientalista, ma anche nell’abbandono di campi e pascoli e nello spopolamento dei territori, soprattutto nelle aree collinari e montane, in cui l’Uomo si ritira lasciando spazio all’Albero. Questo processo si accompagna a due altri fenomeni paralleli. Il primo è la crisi demografica, il tasso di denatalità crescente in Europa, per cui la presenza umana in grado di abitare, gestire, sottomettere la Natura si riduce in termini numerici e finisce per soccombere alla forza dell’altra. Il secondo è la desertificazione industriale di molte aree del continente, soprattutto dopo l’esplosione della crisi economica: molte industrie non sono più cattedrali nel deserto, ma diventano esse stesse deserto umano e produttivo, riducendosi a ruderi presto riconquistati dalla Natura, a mo’ delle rovine greche e romane. economia verde Processo spontaneo di riconversione ecologica, chiamiamolo così. In tal senso, il mito della decrescita felice, dell’avvento dell’era post-industriale e della cosiddetta green economy ha avuto un peso determinante. Il ritorno allo stato di natura ha indubbiamente dei risolti positivi: garantisce riserve di ossigeno, assicura biodiversità, frena l’erosione del suolo e, per quanto possibile, contribuisce a fronteggiare la tanto evocata minaccia del riscaldamento globale. impatti economici A livello simbolico tuttavia lo spadroneggiare delle foreste segna una sconfitta antropologica: rappresenta un trionfo della Natura sulla Cultura, del Selvaggio sulla Civiltà e può considerarsi il sintomo della crisi del nostro continente, che ha dimenticato di mettere l’Uomo e le sue opere al centro. Siamo passati dal Rinascimento alla Riforestazione. Ciò ha ricadute dal punto di vista urbanistico e architettonico: a quante chiese, a quante strade, a quanti edifici, a quanti progetti e manifestazioni dell’ingegno umano stiamo rinunciando per far sì che i boschi imperversino? E ha pure evidenti impatti economici: a quante occasioni di dare lavoro, di generare ricchezza e benessere, a quanti nuovi luoghi dove produrre idee, cose e denaro diciamo di no per lasciare che la Natura prenda il sopravvento? È il rovescio di quanto cantava Celentano ne Il ragazzo della via Gluck: là dove c’era una città ora ci sono erba e foreste. Se fosse una corrente politica, parleremmo di “populismo” ecologico: populus è il nome latino del pioppo, uno degli alberi più diffusi in Italia, soprattutto nella Pianura Padana. Il populista, in tal senso, è colui che vuole più alberi e meno essere umani. E il fatto che sia un “populista” non toglie che sia anche un gran gretino.